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Furious Jane: recensione di Empress

Arrivano da Napoli, ma, ad essere sinceri, sembra che siano trapiantati da una vita in California e più precisamente a Los Angeles. Si chiamano Furious Jane e questo nome andrebbe tenuto bene in vista a futura memoria.

Furious Jane

Empress

(Volcano Records & Promotion)

hard rock

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Arrivano da Napoli, ma, ad essere sinceri, sembra che siano trapiantati da una vita in California e più precisamente a Los Angeles. Si chiamano Furious Jane e questo nome andrebbe tenuto bene in vista a futura memoria. Sono in quattro e suonano in modo molto diretto, pagando dazio ad un hard rock stradaiolo che, però, è ripulito da imperfezioni e ridondanze.

In pratica, se proprio bisogna dare dei riferimenti precisi su di loro, si deve arrivare a scomodare gente importante come i Buckcherry (un nome sempre molto di nicchia in Europa, figuriamoci in Italia) e i più noti Velvet Revolver. Ed è proprio dalla storica band di Slash e Scott Weiland che arriva l’ispirazione più grande, soprattutto quando si ascoltano brani coinvolgenti e tosti come Kickin’ e Spend The Night che hanno al loro interno potenza, ma, allo stesso tempo, un grande impatto melodico.

Il cantato di Salvatore Ferretti, in molte circostanze, si avvicina a quello del mitico leader degli Stone Temple Pilots, senza, però, sfociare in un plagio che, invece, caratterizza a tutt’oggi quello del suo sostituto Jeff Gutt all’interno della line up del combo di San Diego. Per il resto ci sono intrecci blues nella greve Dragon Girl che ha un’andatura molto rallentata e sofferta, quasi in contrasto con il resto di questo EP che, purtroppo, ha il difetto di durare molto poco.

L’intelligenza del quartetto è stata quella di inserire in ogni singola canzone un’apertura melodica (a volte riuscita meglio, a volte meno, anche se siamo sempre sopra la sufficienza) che potesse far ricordare tutti i pezzi presenti all’interno del lavoro preso in esame. Emblematico è il caso di Crack, un’opener classica che ha un buon tiro e un ritornello che rimane impresso nella testa.

Insomma, il paradigma del buon musicista rock viene rispettato in pieno dai Furious Jane che confermano quanto di buono si è detto su di loro anche con l’altro pezzo del lotto, la stradaiola Policeman che avrebbe tutto per poter essere passata o suonata in qualche club dell’assolata Los Angeles. In Italia, a parte l’episodio isolato dei Rain con il magnifico Spacepirates (che i partenopei, se non conoscono, dovrebbero andare ad ascoltare per propria cultura personale), non ricordiamo dischi sfacciatamente e magnificamente legati a un sound così derivativo e riverente verso delle band che da quelle parti americane (e non solo) hanno scritto la storia.

È ingiusto (e non onesto intellettualmente) affermare che i ragazzi dovrebbero provare a sdoganare questa direzione per cercarne un’altra. Qui, a parere nostro, la strada è tracciata in modo molto chiaro: i Furious Jane suonano e scrivono bene. Ora c’è bisogno, però, di un album vero per mettere un altro tassello importante all’interno di un percorso che si preannuncia interessante e che ci si auspica possa travalicare i confini italiani.

 

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Francesco Brunale
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