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Fiesta Alba: recensione disco omonimo

L’EP di debutto dei Fiesta Alba è destinato ad abbattere tutte le frontiere – geografiche e di genere – e a distinguersi dalla massa.

Fiesta Alba

s/t

(Neontoaster multimedia dept.)

art-rock, elettronica, math rock)

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I Fiesta Alba sono 4 lottatori che lottano contro la banalità del conformismo musicale e lo strapotere dei signori della discografia. Escono allo scoperto nello scenario post-pandemia con l’obiettivo di abbattere le frontiere tra nord e sud del pianeta, nonché tra i generi e le relative strumentazioni. Sanno di essere degli outsider e sono felici di esserlo, perché “non può perdere chi non ha nulla da perdere”. Il loro EP omonimo è tutto questo (e forse anche qualcosina di più).

Ispirato al math rock di matrice anglosassone e spogliato di inutili virtuosismi, Fiesta Alba è un concentrato di influenze varie ed eventuali, che tutte insieme rappresentano l’anima di questa band. Si va dall’afrobeat minimalista (Dem Say) all’elettronica ispirata agli anni ’90, al post-punk più graffiante (Laundry), fino al dub e al rap (Juicy Lips). I riff di chitarra sono supportati da groove acustici e digitali, che disegnano tappeti ipnotici dalle strutture sghembe.

I testi, lasciati nelle mani di vocalist internazionali, compiono un giro intorno al mondo, passando per i ghetti di NY (Juicy Lips) e l’Africa (Dem Say). Nelle favole deliranti della madre di tutte le terre, così come nella voce di un condottiero di un mondo scomparso e di un clochard di Brooklyn, le parole degli ultimi e le inconfessabili verità che popolano la nostra quotidianità.

Si può dire che l’obiettivo dei Fiesta Alba è stato centrato: il loro EP d’esordio è un perfetto connubio di generi musicali che si strutturano e si destrutturano in ogni brano, per fondersi in ritmiche e sonorità inclusive ed esclusive allo stesso tempo, esaltando il diritto di non essere per forza parte della massa.

Bandcamp

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Simona Fusetta
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