Federico Poggipollini
Canzoni Rubate
(Django Dischi)
pop, rock
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Trascorri una vita con una sola cosa in testa: la musica. Cerchi di convincere genitori e parenti per fargli capire ce il tuo non è solo un pallino, una fissazione, un capriccio, ma è una vera passione, viscerale e sanguigna.
Poi arriva la tua prima chitarra e studi, cerchi di perfezionarti, cerchi di differenziarti e infine un pizzico di fortuna e bravura ti trovi a suonare con uno dei gruppi di punta del momento (Litfiba).
Il tuo sogno si è realizzato e viene coronato quando ti trovi davanti a cinquanta mila spettatori a San Siro per il concerto di Ligabue.
Non ti basta, vuoi anche fare qualcosa di tuo, dar capire al pubblico e alla critica che non sei solo un turnista, ma sei un musicista, un autore, uno che ha qualcosa da dire, che non sei solo una comparsa e che non esisti se non c’è qualcun altro di più famoso.
A fine anni ’90 pubblichi il tuo primo album solista a cui seguiranno altri quattro e l’ultimo è uscito a marzo di quest’anno e lo intitoli Canzoni Rubate.
Federico Poggipollini, o meglio Capitan Fede, è tornato!
L’album è quel tipo di lavoro che, nel bene e nel male, non ti aspetti da Capitan Fede, ma che in qualche modo rispecchia la sua personalità estroversa e positiva (da buon bolognese), doti che lo hanno messo in luce anche durante i mega concerti del Liga.
Un disco che, a differenza dei precedenti, è un album fatto principalmente di cover, che denota il suo desiderio di omaggiare, in qualche modo, non solo gli autori delle canzoni originali, ma la musica in generale.
Un lavoro fatto stilando un tracklist molto accurata e a volte inaspettatta per il chitarrista bolognese, vedi Varietà di Gianni Morandi (con cui duetta), che alla fine è l’unica canzone nota al grande pubblico, perché in realtà Poggipollini ha optato per i cosiddetti lati B dei singoli di successo.
Capitan Fede rievoca e reiterpreta Eugenio Finardi (Trappole), Ivan Graziani (Monna Lisa), Ivano Fossati (È l’aurora) e gli Skiantos (Il chiodo) e lo fa dando una nuova veste e inserendo delle parti che non stonano e non rovinano l’originale.
Discorso a parte va fatto per i Tribal Noise (Città in Fiamme), Faustò (Vincent Price), Enzo Carella (Malamore) e Andy Williams (Impossible Dreams), dove l’autore ripesca dei brani anni ottanta che, al tempo, strizzavano l’occhio alla new wave e dove grazie alla sua maestria chitarristica li trasforma in canzoni che non stonerebbero se ascoltati oggi.
Quando il disco termina con l’assolo di Impossible Dreams, è difficile non pensare (con la dovuta differenza e rispetto) allo stile chitarristico di Brian May, ma quella di Capitan Fede non deve essere letta come una scopiazzatura, ma come un omaggio al rock, come un invito ad ascoltare e ad usufruire della musica in maniera più attenta ed emozionale. Perché l’emozione, l’amore, l’arte e la musica sono un’iniezione quotidiana di buon umore.
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