Estra
Gli Anni Venti
(Moonmusic/Freecom)
rock, canzone d’autore
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Sono passati 23 anni dall’ultimo lavoro in studio degli Estra, e con una campagna di crowfunding per finanziare il disco, il gruppo di Treviso è riuscito a pubblicare questo settimo album dal titolo Gli Anni Venti con 10 nuove tracce di cantautorato rock.
Sebbene la band sia ricomparsa occasionalmente in questo ventennio per qualche esibizione, mini tour e un paio di singoli, non c’era mai stato un vero interesse nel pubblicare un nuovo album. La carriera di Giulio Casale, voce e chitarra degli Estra, nel frattempo si è affermata da solista con diversi progetti discografici e un percorso letterario parallelo fatto di poesie, racconti e scritture teatrali, rivedendo e rileggendo artisti del calibro di De André, Battiato, Jeff Buckley, Gaber.
Gli Estra in questi 4 lustri hanno riscontrato una perdita di valori e una insensibilità straripante tanto da volerne cantare nel nuovo album introdotto dalla telefonata alla stazione radio de La Signora Jones, qui interpretata dal drammaturgo e attore Marco Paolini, assist alla prima traccia di Nordest Cowboy, che racconta indignata di alcuni orrendi episodi di giovani sbandati balzati alle cronache, aprendo una rockeggiante Fluida Lol, fotografia tormentata di due ragazzi moderni.
I comportamenti della società odierna pongono a Casale e compagni domande come Che ne è degli Umani? aggrappati ad un filo, ma spinato, e ad esaminare in Nessuno come Noi le diverse contraddizioni: “Stasera siamo in pena per tutti i migranti, tanti, randagi e transumanti, ma poi mi canti forte le danze ungheresi”. La chitarra di Abe Salvadori arricchisce gli arrangiamenti avvolti nella ritmica di Nicola Ghedin e Eddy Bassan e, pur aspettandomi suoni ampiamente più nocivi, il quartetto riesce ad ammaliare il mio ascolto andando a fondo sui temi affrontati.
Se in alcuni brani le chitarre escono infatti prepotenti, come la stessa Gli Anni Venti (il cui giocoso intro al pianoforte mi fa venire in mente Contessa dei Decibel) o la nevrotica Lascio Roma dai riff gradatamente acidi, per non parlare della cadenzata e trascinante Nel 2026, ci sono momenti delicati e di un certo noir elettrico disilluso come nell’introspettiva Il Peggiore dove gli Estra sanno bene che oggi “il futuro è già scritto, il futuro è rubato, il futuro era un furto bene architettato, e domani è per chi si è già uniformato”.
Monumenti Immaginari, pregna di speranza, la accosto alla poetica di Paolo Benvegnù. Un disco che allude a quel ventennio lì che si riaffaccia dopo un secolo, qui: “Il nero intacca tutto, il nero sta con tutto, il nero dappertutto”. Sound mai disturbante, insieme ai quattro musicisti nel disco suona anche il produttore Giovanni Ferrario e c’è anche la partecipazione di Pierpaolo Capovilla in un sommesso reading all’interno di Notte Poi. Un ritorno necessario, sia per i fans che non li hanno mai abbandonati, sia perché dischi di denuncia sociale come questi bisognerebbe farne di più.
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