Elli De Mon
Raìse
(Rivertale Productions)
pagan blues, garage blues, folk etnico, psichedelia indiana, gospel, stoner, gothic metal, murder ballads, dark folk, noise folk
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A distanza di due anni dal precedente Pagan Blues, la cantautrice Elisa De Munari, in arte Elli De Mon, torna in scena con il lavoro intitolato Raìse, edito per l’etichetta indipendente italiana Rivertale Productions e anticipato dall’uscita del singolo El Me Moro.
In questo nuovo capitolo autorale, la one-woman-band vicentina – accompagnata per l’occasione da Marco Degli Esposti e Francesco Sicchieri rispettivamente alle chitarre e percussioni/batteria – confeziona un cluster mefistofelico di suoni oscuri e danze primitive, scandito da echi e riverberi di un viaggio messianico incentrato sul recupero delle proprie radici e su quel concetto d’identità che continua a nutrirsi delle stesse emozioni che da sempre muovono le vicende umane e i suoi cambiamenti.
A rendere ancora più autentica l’urgenza di questa ricerca interiore, la scelta di Elisa di esprimersi nella sua lingua madre, il dialetto vicentino, quale unico modo per catturare il reale valore espressivo dell’opera. Parte integrante ed evocativa del progetto Raìse è il libro illustrato dall’artista Luca Peverelli, che reinterpreta la leggenda di Sant’Orso attraverso dodici canti che narrano di memorie universali, ma al tempo stesso intime e personali.
Ispirata da una leggenda legata ai luoghi dove è cresciuta, il paese di Santorso, Elli De Mon rievoca dunque il cammino fisico e spirituale di Orso (dichiarato in seguito Santo dalla Chiesa Cattolica…), un uomo tormentato dal proprio passato, dai propri peccati, dal rammarico del tempo andato e da un destino segnato dalla colpa. Un uomo che a un certo punto sente il bisogno di trasformare il peso di quel dispiacere in pentimento, decidendo di scalare il monte che porta alla redenzione. “Son morto come omo e rinato come orso”, come se quel rapporto con il divenire animale rivelasse un lato potenzialmente salvifico.
Elli, che per l’occasione utilizza un ampio ventaglio di strumenti musicali e timbri vocali (archi, contrabbasso, chitarre, percussioni tribali, batteria, harmonium, dilruba, sitar e soprattutto la sua voce), ci conduce oltre la soglia di un’esperienza folk-trip-adelica (quando austera e magmatica, quando indulgente e ieratica) che parte dagli impervi sentieri boschivi del vicentino per proiettarsi su scala globale: dalle lande melmose del delta blues agli emblematici fiumi della psichedelia indiana, per poi tornare nuovamente a casa.
Pertanto, tracciando una linea ideale che unisce suggestioni pagane, elementi della tradizione locale come antichi canti femminili della Val Leogra, nenie indiane, radici blues statunitensi e percussionismo afro-centrico, Raìse si snoda tra racconto mitologico e introspezione, nutrendosi di mancanze e sofferenza. Un ponte sensoriale di raccordo tra passato e presente, tra luce e abisso, che assume un valore significativo nell’immaginario comune dell’essere umano: un luogo di confine, come lo sono il deserto e la foresta, in cui perdersi per poi ritrovarsi cambiati.
Le dodici canzoni di Raìse racchiudono un saliscendi epidermico dai linguaggi eterogenei e dalle ritmiche ossessive e primordiali, permeate di un’aura sacrale, liturgica e solenne. Si va dall’elettricità carnale del garage blues (Sinner) ai suoni terrosi di aride ballad dark-folk (Sumân, Giose), dalla consistenza brutale e melmosa del gothic metal (Orso) alle allucinazioni lisergiche della psichedelia-raga sixties (El Me Moro), dalla potenza di riff granitici al candore di melodiosi arpeggi folk.
E mentre la dolcezza oscura di litanie criptiche si avvicenda a grida fameliche e disumane (El Me Moro), l’impeto incendiario dell’heavy blues (El Foresto, Babastrii) si estingue nell’estasi acustica di un pagan folk misto vicentino-indiano, finendo per consegnarsi alla quiete silente di un tramonto, riconciliandosi con la propria terra, come una sorta di cerchio che si chiude.
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