Duracel
La Fabbrica dei Mostri
(Cd, IndieBox Music @ 360°)
punk
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Ci sono band che ripropongono tutta la vita lo stesso sound, altre che sperimentano qualcosa di diverso a ogni album; chi vuole stupire creando uno stile unico e chi invece vuole semplicemente fare musica. Nuova o vecchia che sia, già sentita o innovativa. Musica. E’ questa la caratteristica che colpisce dei Duracel: incuranti di quel che è stato e di quel che sarà, questo quartetto veneziano vuole solo fare punk. Che vi piaccia o no.
Il loro terzo album, La fabbrica dei mostri, è sospeso tra i vecchi Ramones, i primi Green Day e i più recenti Punkreas. Quindi, come ho già detto prima, niente di nuovo. Ma non è la novità quello che cerca la band, e ciò risulta chiaro in pezzi come Canzone per la gente, attenta analisi del modo in cui critici e persone comuni vedono la loro musica, inno al menefreghismo verso l’imperativo vendere; o in Caramella, la non-volontà di scrivere il classico tormentone estivo, che svilirebbe a livello personal-musicale, ma farebbe schizzare in testa alla classifiche di vendita.
Nelle 13 tracce dell’album c’è spazio anche per un pizzico di nostalgia targata anni ’90, quelli di Mila e Shiro, delle All Star e del grunge (Novanta) e per una critica all’omologazione di massa verso la quale ci spinge la società (Quasi identici). Questa versione più grezza e meno politically correct dei Finley (che non cito a caso, dato che nel loro secondo album i Duracel li avevano parodiati scrivendo Non sarò mai una star) lega insieme i propri pezzi fino a intrecciare un unico filo sonoro scandito solo dal variare delle tematiche dei testi.
Ecco l’arma vincente di questi quattro musicisti: suonano bene, fanno il genere che più gli aggrada senza la necessità di uniformarsi al mainstream pur di ottenere successo, e tutto questo traspare da ogni accordo. A condire il tutto, testi lucidi sulla società, sul music business e sui giovani d’oggi, diretti e ironici quel tanto che basta da conquistare senza sembrare per forza polemici.
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