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Dr. Schafausen: How Can You Die? (recensione e intervista)

Il Dr. Schafausen ('padre' del metal italiano) con How Can You DIe? incrocia con un crossover fuori di testa, mondi vicini e lontani, per un disco che obbliga l'ascoltatore a fermarsi e ragionare.

Dr. Schafausen

How Can You Die?

(Minotauro Records)

alternative metal, melodic death metal, progressive metal, death core, crossover, trap

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Premessa: i contenuti di questa recensione sono (anche) ricavati da una lunghissima chiacchierata telefonica con Sergio Pagnasco (aka Dr. Schafausen), che s’è rivelato gentile e disponibile ad entrare in ogni minimo dettaglio sulla realizzazione dell’album.

Il Dr. Schafausen ha fatto un disco fuori di testa. La verità pura e semplice è questa.
Ma volendo scendere più nei particolari, How Can You Die? è il frutto di due anni di lavoro di un musicista che sta sulla scena Metal italiana dal 1978. Il Dr. Schafausen, al secolo Sergio Pagnacco, altri non è che il bassista storico dei Vanexa. Per chi fosse poco avvezzo al mondo del Metal, stiamo parlando di quella che oggi è ritenuta essere la prima band Metal italiana e il loro disco d’esordio del 1983 è considerato il primo album in assoluto del genere. Non solo Vanexa, anche Labyrinth e conseguentemente palchi condivisi con glorie come Maiden, Ozzy e quanto di meglio al mondo si possa trovare, nel genere.

Avendo ascoltato il disco e trovandolo estremo in ogni accezione positiva del termine, la curiosità di conoscerlo è stata troppo grande e parte della nostra conversazione è servita proprio a chiarire la natura di un lavoro così complesso e articolato.

RockShock. Ennesimo disco nato durante il Lockdown e forse mai come questa volta le tematiche affrontate, sono figlie di quel periodo assurdo.
Dr. Schafausen. Il disco è un concept che, ridotto all’osso, esplora tutta una serie di disturbi psicologici e cognitivi in qualche modo legati all’uso e all’abuso della tecnologia. Insomma volendo azzardare un parallelismo è come se fosse stata messa in musica una stagione di Black Mirror.

Disco scritto interamente dal Dottore che poi si è avvalso per la realizzazione di una band, caso vuole, costituita da tutti musicisti di nazionalità Russa. Infatti con Sergio Pagnacco, basso e voce, troviamo Slava Antonenko (voce) Michael Pahalen (chitarra) e Anatole Lyssenko (batteria). Inutile dire che concludere il lavoro è stata un’impresa difficilissima, in seguito al Lockdown, questa volta delle comunicazioni, per via del conflitto che ancora imperversa in quelle regioni.

Sia come sia, tra mille difficoltà anche relative alla distribuzione e alla campagna di marketing, il disco ci è arrivato ed eccolo qua.
Il Dr. Schafausen ha fatto un disco fuori di testa. La verità pura e semplice è questa.
Un personaggio che il Metal l’ha vissuto in quasi ogni sua incarnazione, sia come musicista che come ascoltatore, arrivato ad un punto della sua carriera decide di voler sperimentare (questo è il suo secondo lavoro) e inserire all’interno della sua proposta musicale anche quelle che chiama le influenze indirette. Quindi non solo la musica che padroneggia, ama, ascolta e compone, ma anche quella che accendendo la radio, per caso, si trova ad assorbire.

Il disco oltre a presentare il Metal in quasi ogni sua forma nota ad oggi (Alternative, Swedish, Death Core, Prog, Industrial e chi più ne ha più e metta) porta in dote un singolare blend con mondi più o meno lontani. Tappeti di Synth si annidano in ogni dove e Trap. La Trap quella fatta bene che fa riferimento ai lavori e ai suoni di Lil Peep (scomparso all’età di 21 anni e anche su questo c’è una storia, lunga da raccontare, ma ben sintetizzata dal pezzo 2127 che troverete nel primo lavoro del Dottore del 2021).

Dal punto di vista strettamente musicale, immaginate quindi di passare in un battito di ciglia da una frase che potrebbe ricordarvi gli APC, ad un’esplosione in stile Tesseract per poi scivolare in un 808 che puoi ascoltare in un club o a casa in cuffia solo con te stesso. Immaginate ogni figurazione ritmica che potete conoscere e con buona probabilità la troverete all’interno del disco in qualche parte. Immaginate riff contorti e potenti e vi avvicinerete, a seconda di quanta fantasia abbiate, marginalmente a ciò che troverete.
Il risultato finale è un autentico ritratto distopico estremamente ben piantato nel presente, con uno sguardo ad un futuro che non potrà essere poi così diverso. Anzi, la previsione del Dottore è che questo è solo l’inizio.

RockShock. I pezzi affrontano, come già detto, l’alienazione della quale siamo tutti un po’ vittime, dovuta all’estremo uso intensivo della tecnologia. Alienazione che il COVID non ha fatto altro che esacerbare.
Dr. Schafausen. How Can You Die? ci parla di uno strano stato di morte sospesa; Anger della rabbia che tutti coviamo intrappolati in una vita dai ritmi insostenibili (uno dei pezzi migliori del disco).
Un riferimento esplicito alla pandemia arriva con Brain Fog, questa nebbia mentale che in alcuni casi impedisce la piena facoltà di ragionamento durante lo sviluppo della malattia.
Gaming Disorder, in modo esplicito, ci parla di come si riesca a seppellire il cervello in un mondo virtuale a portata di cellulare, fatto di bonus, livelli e Boss di fine quadro.
Daydreaming del multitasking patologico che ci colpisce e ci condanna ad avere la mente altrove anche quando stiamo facendo tutt’altro.

C’è spazio anche per una cover, Comet, la cui versione originale è stata scritta dal figlio del Dottore. Anche questa circostanza abbastanza inusuale.
We are Digital (il pezzo migliore del disco insieme ad Anger) ci prende letteralmente a schiaffoni con un riff micidiale fino ad arrivare ad una transizione che simbolicamente ci digitalizza e ci colloca in un mondo fatto di 1 e 0.
Infine Hikikomori, primo pezzo scritto per il disco, che conclude il lavoro affrontando forse l’aspetto più alienante di tutta la faccenda: isolamento volontario ed estremo e rifiuto più o meno integrale di ogni forma di vita sociale. Un fenomeno iniziato negli anni 80, oggi in crescita drammatica.

Un filo conduttore che obbliga l’ascoltatore a fermarsi e ragionare. Un disco di non facile ascolto.
Un disco che senza la tecnologia non sarebbe stato realizzabile, e che paradossalmente da un lato ce la racconta, la tecnologia, e dall’altro impone un tempo di ascolto elevato per essere conosciuto e capito. Proprio quei tempi lunghi che oggi non abbiamo più per coltivare noi stessi, proprio in virtù dei ritmi frenetici che abbiamo.
Insomma un frattale senza inizio e fine che usa ciò di cui parla e allontana e avvicina al tempo stesso.

Menzione a parte: grafica e cover da paura, in ogni senso, ad opera di Paolo Massagli.

Ultima chicca. All’interno del disco la cover di 21st Century Schizoid Man, ancora più destabilizzante e allucinante dell’originale.
Quale pezzo migliore di questo, per raccontare i deliri dell’uomo degli anni 20xx?

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