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DFA: 4th

Il nuovo dei D.F.A. suona come “deve” suonare un album di prog, senza però la carica innovativa del passato

D.F.A.

4th

(Cd, Moonjune records, 2008)

progressive, jazz rock

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I D.F.A. sono una band italiana dedita ad un progressive perfettamente riconducibile alla jazz-fusion e al “Canterbury sound” degli anni d’oro. Le sei composizioni di questo quarto album – 4th, appunto – eccedono, come è da sempre usanza del genere, in tecnicismi virtuosi e arrangiamenti “barocchi”, pur senza mancare di una certa dedizione alla leggerezza mostrata nella tessitura di atmosfere più diafane.

Il punto forte dell’album è, proprio per questo, la grandissima attenzione tenuta dalla band nella costruzione dell’impasto strumentale, essendo abile volta per volta nell’adornare il brano di turno con note continuamente alla ricerca dell’effetto sorpresa e della difficoltà esecutiva.

Detto questo potrebbe sembrare – a chi recepisce quel che vuole recepire – di essere di fronte ad un ottimo album, cosa che si distacca quasi del tutto dalla considerazione personale su 4th: in realtà dopo un po’ ci si annoia mortalmente a sentire sempre le solite “masturbazioncelle” strumentali, che sinceramente lasciano un po’ il tempo che trovano, tanto per usare un eufemismo.

Insomma, a chi interessa un prog che non aggiunge proprio un bel nulla (e che anzi ricalca pedestremente) all’ingente produzione di lavori più o meno ispirati che dagli anni settanta ad oggi hanno ingombrato il mercato musicale di ovvietà acustiche?

Chi ama il genere, naturalmente, sarà sicuramente contrario a ciò che qui si è detto, e quindi l’album è consigliato solo a quest’ultimi. Eppure c’è qualcuno che pensa che si può fare grande musica anche soltanto utilizzando meno note e più idee: non che le due cose siano necessariamente complementari, però…

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