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Depeche Mode: Playing the Angel

Playing the Angel è un album senza tempo, potrebbe essere stato inciso in un momento qualsiasi degli ultimi dieci anni dei Depeche. Intatta la grinta, intatta la voglia di stupire con ricercatezze e raffinatezze che si lasciano scoprire ascolto dopo ascolto

Depeche Mode

Playing the Angel

(Cd, Mute, 2005)

elettronica, pop

I Depeche Mode sono i Depeche Mode e non devono più dimostrare niente a nessuno, se non di continuare a saper scrivere belle canzoni.

Dopo 11 album in venticinque anni di carriera e diverse decine di milioni di copie vendute in tutto il mondo, i “nostri” non sentono certo proprio ora il bisogno di cambiare ricetta. D’altro canto in tutto questo tempo sound e scrittura sono mutati davvero poco, giusto 10/15 d’anni fa con l’inserimento di qualche timida chitarra e di un batterista “vero” nei concerti.

E così anche questo Playing the Angel suona proprio come un disco dei Depeche Mode, ma di quelli migliori.

Convinto Martin Gore a far partecipare al processo compositivo David Gahan, che qui firma 3 pezzi, liquidato, Precious, il singolo già noto da qualche tempo – davvero molto bello seppure un po’ prevedibile – rimangono 11 canzoni di cui nessuna fa da semplice riempitivo.

Misurate allo stretto necessario le voci dei cori femminili che avevano inquinato alcune prove del passato, Playing the Angel è un album senza tempo, nel senso che potrebbe essere stato inciso in un momento qualsiasi degli ultimi dieci anni dei Depeche. Intatta la grinta, intatta la voglia di stupire con ricercatezze e raffinatezze che si lasciano scoprire ascolto dopo ascolto. Rimangono intatte anche le ossessioni para-religiose, seppure limitate a soli costrutti linguistici, più a che a vere analisi critiche o smanie mistiche.

Playing the Angel è un album di suoni acidi, ma anche di punteggiature che potrebbero risalire agli anni ’80, così come di loop di chitarra collaudati con successo. Suffer Well in questo senso è proprio la sintesi tra passato remoto e passato prossimo dei Depeche Mode, mentre l’album in generale, il presente, non scende a facili compromessi e sceglie spesso strade sonore farcite di suoni distorti ed intriganti labirinti che invitano ad attenti ascolti in cuffia.

Sì, è vero, I Want It All è un po’ troppo lunga e alcuni effetti di panning stereo sono alla ricerca del facile stupore, ma sono peccati veniali in album complessivamente fatto di ottime canzoni e che ci ripropone in grandissima forma una delle ultime icone in ambito di pop elettronico.

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Massimo Garofalo
Massimo Garofalo

Critico cinematografico, sul finire degli anni '90 sono passato a scrivere di musica su mensili di hi-fi, prima di fondare una webzine (defunta) dedicata al post-rock e all'isolazionismo. Ex caporedattore musica e spettacoli di Caltanet.it (parte web di Messaggero, Mattino e Leggo), ex collaboratore di Leggo, il 4 ottobre 2002 ho presentato al cyberspazio RockShock.
Parola d'ordine: curiosità.
Musica preferita: dal vivo, ben suonata e ad altissimo volume (anche un buon lightshow non guasta)

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