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Dead Cat in a Bag: recensione di We’ve Been Through

Con i Death Cat in a Bag non ci troviamo solo di fronte a musicisti con doti strumentali innegabili, bensì davanti a una band (e a un disco) in grado di raggiungerci con una valanga emotiva, evocativa, poetica e teatrale di grande levatura.

Dead Cat in a Bag

We’ve Been Through

(Gusstaff Records)

neo-folk, indie-folk, rock-blues, canzone d’autore

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Musica, Immagini e Mistero, una colonna sonora perfetta che incastra Morricone e Badalamenti in dieci brani ; che raccontano speranza, disillusione, amori giunti al termine e naufragi. A distanza di quattro anni tornano i Dead Cat in a Bag con We’ve Been Through, uscito per la Gusstaff Records (etichetta con artisti di fama internazionale tra cui Hugo Race).

Un album dal sapore oltreoceanico, del jazz funereo di Tom Waits, dell’immenso romanticismo di Morricone e della disperazione di Nick Cave.

A colpire immediatamente è la splendida copertina (a cura di Circus Vogler), l’immagine di questa donna dissezionata, le mani a proteggere la Luna e i sogni che porta con sé; sullo sfondo padroneggia un rosso vivido a simboleggiare la ruvidezza della vita.

Si capisce subito che siamo nel noir quasi lynchiano e ancor prima di pigiare play, sappiamo già che l’ascolto avverrà su più livelli: artistico, intellettuale ed emozionale.

Gli smaccati riferimenti a Tom Waits sono già chiari nel brano di apertura. The Cat is Dead, che vanta la collaborazione al basso di Gianni Maroccolo, è un rock-blues di impatto; sorretto da un bel timbro vocale (quello di Luca Swanz Andriolo) profondo e graffiato che intona un canto funebre.

“Cosa si fà alla fine del giorno, alla fine di una vita, quando l’ultima finestra è stata spalancata, l’ultima bottiglia è stata rotta, l’ultima porta è stata chiusa, e la festa è finita? Risponde un assolo di armonica che, inquieta abbastanza, da non lasciare spazio a libere interpretazioni.

Il tripudio iniziale si spegne proseguendo con le atmosfere rarefatte di From Here e Between Day and Night (dove i cori mi hanno ricordato tutto ll romanticismo del mio amato Bowie).

L’ incantevole violino pizzicato di From Her ci trasporta nel fascinoso mondo onirico di Badalamenti mentre la voce soffusa, ma intensa tanto quanto basta a far drizzare le orecchie a Leonard Cohen e Mark Lanagan, intona la bellissima poesia di Garcia Lorca.

È proprio in questi due brani che si comprende l’enorme capacità di questa band di creare un vero e proprio scenario che non si ferma al mero ascolto, ma crea delle immagini teatrali degne di una colonna sonora di un film di Hollywood.

 

The Ship is Sinking trasuda di balcanica vivacità; Lost friends, la traccia più bella dell’album, in soli quattro minuti suscita emozioni così forti da creare uno squarcio profondo nello stomaco, in una apertura del brano che non esploderà mai ma si chiuderà con un decadente campione di fisarmonica.

Due for Nothing, che vede la presenza canora dell’ottima Alessandra K. Soro, è atrocemente sensuale. Un’intreccio di due voci così cariche che si rincorrono, si respingono e si amano follemente. Il tutto è ulteriormente impreziosito dagli omaggi a Jonnhy Cash con Wayfaring Stranger e a Leonard Cohen di Hunter’s Lullaby,  dove la produzione a cura di Carlo Barbagallo rappresenta un valore aggiunto inestimabile .

Chiude We’ve Been Through, una funerea jazz ballad che sa così tanto di New Orleans da farmi quasi dimenticare che la band sia italianissima.

Con i Dead Cat in a Bag non ci troviamo solo di fronte a musicisti con doti strumentali innegabili, bensì davanti a una band (e a un disco) in grado di raggiungerci con una valanga emotiva, evocativa, poetica e teatrale di così grande levatura che potrebbe far annoverare We’ve Been Through tra i migliori album usciti nel 2022.

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Simona Pietrucci
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