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Cristina Donà: recensione di deSidera

Cristina Donà torna sulla scena musicale realizzando il suo settimo album di inediti intitolato deSidera, con il quale rispolvera quella vena cantautorale alternative rock che l'ha contraddistinta nell'ampio panorama rock tricolore dall'inizio degli anni '90 ad oggi.

Cristina Donà

deSidera

(Fenix Music)

canzone d’autore, elettronica, art rock

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Cover_Donà_recensione_deSideraA sette anni dalla pubblicazione del precedente Così Vicini e anticipato dall’uscita dei singoli Colpa e Desiderio, Cristina Donà torna sulla scena musicale con un nuovo album di inediti (il settimo della sua carriera) intitolato deSidera, realizzato grazie a una fortunata campagna di crowdfunding e scritto a quattro mani con il polistrumentista e produttore Saverio Lanza.

Attraverso le dieci tracce che compongono questo nuovo capitolo discografico, giocando con l’etimologia del verbo desiderare, Cristina Donà rispolvera quella vena cantautorale alternative rock che l’ha contraddistinta, nella sua attività trentennale, come una delle figure più intense, poliedriche e di riferimento non solo nell’ambito della canzone d’autore al femminile, ma di tutto il panorama rock tricolore dall’inizio degli anni ’90 ad oggi.

Chitarre graffianti e luccicanti, atmosfere oniriche, contaminazioni elettrochimiche, pulsazioni elettrogene, ritmiche frenetiche e liriche abrasive permeano lo spettro emotivo e scritturale di deSidera, rievocando, da un lato, un’impronta stilistica che rimanda al virtuosismo elettropop dei Bluvertigo e dall’altro mettendo in evidenza quello che è il nucleo tematico della release, ovvero la cosiddetta natura umana.

 

Cristina Donà ci consegna un concept album evocativo, passionale e metaforico, quasi leopardiano, che ruota intorno all’inesauribile ciclicità della vita e alla condizione dell’essere umano moderno, il quale, sopraffatto dai suoi conflitti interiori e sempre più incapace di controllare la logica cannibale del desiderio nelle ore diurne, alimenta ed autoalimenta oltremisura aspettative egocentriche rivolte a nuovi giardini dell’Eden a discapito di ogni genere di coscienza individuale, mostrandosi sempre più dipendente dalle dinamiche interattive della contemporaneità e dalla morbosa necessità di reperire un capro espiatorio per liberarsi dalle proprie responsabilità, dai propri sensi di colpa.

C’è un momento in cui l’uomo è padrone del suo destino. La colpa non è nella nostra stella, ma in noi stessi che ci lasciamo sottomettere da un’eterna insoddisfazione interiore e da tutto ciò che è commestibile per nutrire il nostro desiderio cannibale. Paradossalmente, è proprio questa ragione che continua a farci sentire vivi: ovvero, la perenne ricerca di una via di fuga dagli sviluppi alienanti della quotidianità, che trovano rifugio nei nostri desideri. Ma spesso rincorrere certi desideri comporta sempre un prezzo da pagare.

“La colpa, caro Bruto, non è nelle stelle, ma in noi stessi, se siamo schiavi.” Giulio Cesare, William Shakespeare.

CristinaDonà@facebook

 

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