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Clap Your Hands Say Yeah: Only Run

Tornano con il loro quarto album, dal titolo Only Run, i Clap Your Hands Say Yeah, band di Brooklyn che quasi dieci anni fa, con un album omonimo, ottenne considerevole successo di pubblico e di critica

Clap Your Hands Say Yeah

Only Run

(Cyhsy Inc./xtra Mile)

pop-wave, electro-pop, indie-rock

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Clap Your Hands Say YeahTornano con il loro quarto album, dal titolo Only Run, i Clap Your Hands Say Yeah, band di Brooklyn che quasi dieci anni fa, con un album omonimo, ottenne considerevole successo di pubblico e di critica.

Era il 2005, si affacciava in rete un reale pericolo per le case discografiche: la possibilità di scavalcare i tradizionali canali musicali per arrivare al successo. La cosa sapeva un po’ di sogno e un po’ di miracolo, ma accadde davvero a questi cinque squattrinati ragazzi dell’East Coast, che, dopo aver pubblicato i loro pezzi su internet, si ritrovarono ad essere recensiti dal Pitchfork  con un bel 9.0 e ad essere annoverati tra le hot new band dal Rolling Stone. Intanto, il loro album registrò un vero e proprio boom di vendite su internet, dimostrando che era possibile far scricchiolare l’intoccabile mondo delle major con un semplice click.

Ma i sogni, si sa, svaniscono all’alba, e quella che sembrava una promessa del rock si è mostrata per quello che realmente era: un meraviglioso e forse irripetibile guizzo di genialità giovanile. La band, con il loro secondo album: Some Loud Thunder del 2007, poi con Histerical del 2011, e ora con Only Run, disegna una parabola discendente, che nonostante l’impegno e la costanza dei componenti, non può far a meno di essere notata.

Musicalmente notiamo notevoli differenze rispetto agli esordi. Se con il primo album i CYHSY ci hanno condotto in locali fumosi e sgangherati, come se vivessimo in una canzone di Tom Waits, o trasportati negli anni ’70 in compagnia di sonorità alla Velvet Underground, nel nuovo album ci troviamo con i piedi ben fermi a terra. Nessun volo pindarico, insomma, ogni brano sembra nascere dalla contingente attualità e lì rimanere e anche un po’ morire. Abbandonate, dunque, le velleità oniriche, le imprecisioni e le sbavature degli esordi, che li rendevano forse meno professionali, ma di certo più interessanti, non resta che ascoltare brani ben costruiti, una sapiente miscellanea che oscilla tra indie pop e electro-pop. Persino la voce di Alec non è più la stessa, ha perso quella sferzante e graffiante spontaneità da ragazzo che canta ubriaco ed è più simile ad un triste simulacro di quella di Thom Yorke.

La collaborazione con Matt Berninger, dei National, in Coming Down, sembra essere il momento più alto dell’album. Il brano di apertura, As Always, mischia suoni sintetici a schitarrate in stile Cure. Blameless e Little Moments, con le loro melodie semplici e piuttosto commerciali, possono essere inserite più in ambito elettro-pop che rock. La track Only Run, invece, che parte con una voce femminile recitante e si conclude con una ballata cantautorale, potrebbe essere annoverata tra i brani più interessanti dell’album, proprio in virtù della sua varietà.

“Il concept dietro alla band, a partire dal suo stesso nome, è quello di opporre ottimismo in barba al diffuso senso di frustrazione di questi tempi“, ha dichiarato il leader della formazione; sicuramente i ragazzi tengono duro e guardano avanti, il risultato non è forse paragonabile a quello degli esordi, ma di certo l’ascolto dell’album risulta gradevole, un bell’esempio di coraggio ed energia.

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