Bruce Soord
Luminescence
(Kscope)
elettroacustica, dream folk, atmospheric rock
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L’autunno, con le sue tonalità rosse tendenti al marrone, può stimolare stati d’animo come tristezza e malinconia, predisponendo la nostra psiche a una condizione di maggiore introspezione, quale anticamera di un cambiamento.
A distanza di tre anni dal precedente All This Will Be Yours e sfruttando un periodo di pausa dei suoi The Pineapple Thief, di cui è fondatore e frontman, il cantautore londinese Bruce Soord manda alle stampe il suo terzo album solista dal titolo Luminescence, edito per Kscope e anticipato dall’uscita del singolo Dear Life.
Riprendendo tutta la musica che ha scritto in questi anni e focalizzandosi su una prospettiva creativa in equilibrio tra analisi interiore e sguardo rivolto a ciò che accade all’esterno (“here we sit day after day, looking out”), Bruce Soord, con gentilezza timbrica e raffinato gusto autorale, è riuscito mettere insieme una nuova e immersiva esperienza discografica dalle vibrazioni intime, poetiche e agrodolci, attraverso un lavoro di grande sensibilità melodica e profondità confessionale.
Con la realizzazione di Luminescence, a corredo di un lungo percorso di costruzione personale, il 51enne polistrumentista e produttore britannico si apre al bisogno di voltarsi indietro per dare un senso a tutto ciò che ormai appartiene al passato (visioni e ricordi, gioie e dolori, sogni mancati e sprecati), così come alla necessità di sedare le frenesie quotidiane e intercettare un lembo di luce che lasci intravedere, al di là delle cicatrici e dei rimpianti, nuove opportunità di ripartenza.
Così, indugiando sui classici quesiti esistenziali e meditando sulle soffocanti aspettative del cosiddetto destino, Bruce Soord ci regala un foliage calligrafico dalle delicate linee armoniche e dai soffici echi autunnali, incentrato sull’idea di una ricerca introspettiva in grado di combinare, grazie anche al prezioso utilizzo di synth e archi, eleganti atmosfere dream-ambient di scuola scandinava (vedi Airbag di Bjorn Riis e Gazpacho) a luminescenti e malinconici ricami di chitarra acustica.
Luminescence è dunque un’opera carica di emozioni epidermiche e riflessioni sull’esistenza, che ha come baricentro narrativo la fatalità del tempo e quei ritmi convulsi del quotidiano che spesso ci portano a trascurare le cose per noi veramente importanti (“how did we get to be this cold, how did I let you get so far from me, we got it so wrong, so wrong, how did we let it get this cold”), fin quando non realizziamo che, dopotutto, quella che chiamiamo vita non è affatto un percorso totalmente pianeggiante e che, il più delle volte, andare dritti per la propria strada non è sempre la scelta più affidabile.
Insomma, dopo tutto quello che abbiamo visto, e nonostante certe ombre del passato siano ancora presenti su ciò che siamo oggi (“just the shadows cast over our remains, with the wounded leaves”), continuiamo ad aggrapparci a questa vita (“we cling to this dear life, in the end it was so simple”), come foglie ferite che attendono le nobili cure del tempo, come fiori solitari che si voltano verso il sole (“barely any time for the solitary flower to turn towards the sun”) in cerca anche solo di un tiepido abbraccio, e di una ritrovata sensazione di pace.
Luminescence
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