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Blur: recensione di The Ballad of Darren

Il re è morto, viva il re! La Cool Britannia torna a dominare – quantomeno - le chart, proprio con una delle sue band simbolo: ecco il ritorno dei Blur.

Blur

The Ballad of Darren

(Parlophone)

pop, alternative rock

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Erano gli anni ’90 del millennio scorso quando i Blur facevano il loro trionfale ingresso sulla scena musicale che avrebbe, a più ampio spettro, preso il nome di Cool Britannia. Un Regno Unito mai così cool e glamour che ribadiva al mondo la sua potenza. La stampa e le chart mondiali erano dominate dai battibecchi di due delle band che avrebbero impresso a fuoco il loro nome nella storia della musica pop, Blur e Oasis, a ribadire una dualità vecchia come il mondo (a partire da Beatles e Rolling Stones) che incarnava due delle mille facce della variegata popolazione inglese.

Ora, a distanza di trent’anni da quell’epoca, si contano sulle dita di una mano le realtà ancora attive. Gli stessi Oasis non esistono più (con buona pace di chi non aspetta altro che rivederli insieme) e le reunion la fanno da padrona. Un po’ come doveva essere anche per il quartetto capitanato da Damon Albarn, che doveva rimettere in piedi la macchina per un live colossale, ma che alla fine ha pubblicato un album di inediti. E che album.

The Ballad of Darren, però, è tutto meno che un’operazione nostalgia. Oddio, di nostalgia e malinconia ce n’è a pacchi in questo disco, ma non nei confronti dei fasti di un’epoca che non c’è più. La scrittura di Albarn è quantomai consapevole, frutto delle esperienze che hanno costellato la sua esistenza e che hanno fatto di lui un cinquantenne che si interroga sulla vacuità della vita e fa i conti con i propri trascorsi.

Il titolo stesso è un richiamo al passato: Darren Evans, storico collaboratore del gruppo fin dai suoi esordi, diventa un mezzo attraverso il quale scavare nel proprio profondo e sviscerare tematiche quali la nostalgia, appunto, ma anche la perdita e la solitudine. Da magistrale songwriter qual è, Albarn però non ci trascina nell’abisso della disperazione, ma porta noi ascoltatori (più o meno della sua generazione, almeno nel mio caso) ad accettare quelle stesse tematiche come qualcosa di caro anche a noi.

Ed ecco uno dei tanti fil rouge del disco, scritto durante il tour dei Gorillaz: una sensazione di fratellanza e comunanza, che si respira non solo nelle liriche, vaghe quel tanto che basta da adattarsi al sentire di molti, ma soprattutto nell’amalgama omogeneo di ogni singolo pezzo, che è tale proprio grazie all’intervento di ogni singolo membro della band (Coxon in testa) e alle esperienze alle quali ognuno di loro si è dedicato in questi ultimi anni.

The Ballad of Darren è un disco dei Blur al 100%, che non abbandona il vecchio stile, ma lo fa senza ricadere nel cliché di sonorità già trite e ritrite. È toccante, emozionante e avvincente, contemporaneo e scanzonato, pur essendo terribilmente impegnato. È la cosa migliore che i Blur avrebbero potuto fare per dimostrare di essere (innegabilmente) ancora sulla cresta dell’onda, e non perché un loro singolo fa milioni di visualizzazione. Sulla lunga distanza, il quartetto di Colchester ha vinto la battaglia delle band, ammesso e non concesso che, dopo la firma del trattato di pace tra Damon Albarn e Noel Gallagher, abbia ancora un senso. E, da fervida sostenitrice della compagine di Manchester, ne decreto volentieri la vittoria.

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Simona Fusetta
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