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Blocco 24: recensione disco omonimo

L'esordio omonimo dei Blocco 24 si muove tra la new wave più illuminata, il cantautorato colto e l'elettronica, il tutto con liriche profonde e terribilmente inquiete.

Blocco 24

s/t

post-punk, darkwave, electro, EBM

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Cover Blocco 24È doloroso ed assurdo destino di moltissimi talenti italiani quello di non riuscire a raccogliere il giusto e meritato sbocco nel mercato discografico, la causa risiede nella scarsa se non inesistente considerazione dell’arte intesa nell’accezione più ampia del termine, che nel nostro paese non solo persiste ma purtroppo peggiora a vista d’occhio. Troppe band, troppi musicisti rimangono nella penombra malgrado sfornino musica di altissimo livello, per accorgersene basta guardarsi intorno, esempio lampante è il debut album omonimo del Blocco 24 che arriva a tre anni di distanza dal primo EP auto-prodotto, Identità.

Il progetto nasce nel 2016 a Palestrina, comune noto per il mega festival Nel Nome Del Rock che ha ospitato centinaia di artisti nostrani ed internazionali (su quel palco si spense la vita di Mark Sandman, leader e voce sublime dei Morphine) ed è proprio grazie al fermento della manifestazione che molti giovani cominciarono a misurarsi con uno strumento, tra questi c’erano quattro amici, Carlo (voce/synth), Luca (chitarra), Stefano (basso) e Roberto (batteria) spinti dall’amore comune per la musica che, a venti anni di distanza dalle prime esperienze on stage e l’aggiunta di Andrea (chitarra – ex Destir, Bloody Riot e Wendy?!), coronano finalmente un sogno.

Blocco 24 è una mirabile sorpresa, difficilmente collocabile in qualsiasi contesto predefinito, si muove in un territorio di confine tra la new wave eighties più illuminata, il cantautorato colto alla Battiato e l’elettronica spinta a tratti vicina ad un synth pop di classe altri all’EBM con sfumature techno/trance legato a liriche profonde e terribilmente inquiete.

Biglietto da visita per un disco da gustare in cuffia o sparato al massimo volume da un buon impianto stereo è Non Mi Muovo, intramuscolo irresistibile retto da una sezione ritmica metronomica, basso portante, arrangiamento centrato, aperture e stop and go magistrali capaci di catturare completamente l’attenzione, segue Difendimi dove si respira aria di rassegnazione (non sono un animale che puoi accarezzare quando vuoi, mi limito a sopravvivere in questo angolo buio che mi dai) mista ad una coraggiosa richiesta d’aiuto, la difesa dagli altri ma anche dal nostro io più profondo, del resto non siamo proprio noi i peggiori nemici di noi stessi?

Berlino in Autunno appare come un sogno tormentato in una notte senza stelle, una storia vissuta o forse solo immaginata nella città simbolo divisa da quel muro diventato leggenda come metafora perfetta di uno stato emotivo imploso in mille problematiche intime e latenti, incomunicabilità e senso di alienazione conditi da un suono praticamente perfetto.

È tempo di riflessioni ancora più profonde, è tempo di Canzone per Mark, scritta dopo un lutto e per questo pervasa da una cupa coltre di nebbia, i ricordi si accavallano e fanno così male da non riuscire quasi a mettere a fuoco il recente passato, ogni dolore è fortificazione, sembra dire il Blocco, con una melodia storta e a tratti dissonante che chiude incendiandosi in una pira madida di nostalgia.

Con Ghiaccio tornano le emozioni elettrificate, il mood dal sapore gitano ricorda gli antichi fasti dei Litfiba e del Marc Almond più istrionico, meravigliosa prova di chitarra sul canto di Carlo che vola lontano dalle sue consuete escursioni vocali quasi a rincorrere un nuovo percorso stilistico.

Il basso di Stringimi, in odore Joy Division, perfora le viscere, il tappeto armonico dilatato, suadente, ipnotico, apre le braccia ad un cielo carico di pioggia che avvolge e devasta mentre Barriere si fa cullare da un EBM groove che trasmigra in un convincente rock elettronico con tanto di coda in dissolvenza onirica.

Sintesi e Sono Ancora Vivo sembrano le due facce della stessa medaglia, nella prima un tenue e lontanissimo spiraglio di luce filtra attraverso un mare di oscurità cosmica trafitto da trame orchestrali superlative, (dentro le tue lacrime non trovi più le argomentazioni migliori), è tempo di cambiare malgrado l’assoluta indifferenza per la vita stessa, (la vita che mi resta mi sfiora), la seconda ha invece il profumo della speranza, sorprendersi ancora vivi malgrado tutto, malgrado il genere umano, le arroganze, le cattiverie, il menefreghismo, la corsa al denaro e il miliardo di aberrazioni che ne conseguono.

Poi c’è Lenti e Confusi e bisogna solo tacere dinanzi alla stoffa di cinque musicisti capaci di racchiudere in pochi minuti il concetto base dell’esistenza umana, protagonista è il tempo che passa incurante dei nostri desideri e delle nostre aspirazioni lasciandoci atterriti in un mondo ormai alieno, un mondo distante dalle nostre percezioni adolescenziali dove normalmente si bada alla forma e poco alla sostanza, (la bellezza è solo uno strumento effimero, svanisce col tempo e non resta niente, solo un ricordo di vanità e non riesci ad arrenderti), alimenta il cervello sembra raccomandare il Blocco perché sarà la tua unica arma di difesa quando il corpo comincerà ad invecchiare, si percepisce netto lo stupore di chi ha ancora testa e cuore in fermento ma subisce i primi inesorabili cedimenti fisici. Un gioiello concettuale, una sorta di mantra celeste, un manifesto generazionale sorretto dal suono coeso, trascinante, pieno, con tanto di finale solenne a sorpresa.

Siamo di fronte ad un piccolo prodigio musicale di italica fattura, un esordio imperdibile, un disco capace di accendere tutti i sensi per mezzo di parole e note sapientemente miscelate, la provincia ci regala una perla preziosa, custodiamola con cura.

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