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Black Tail: One Day We Drove Out Of Town

One Day We Drove Out Of Town è il secondo album dei Black Trail e, più del precedente Springtime del 2015, si spinge sui territory del folk rock americano riletto in una chiave moderna, soft ed elegante

Blak Tail

One Day We Drove Out Of Town

(Mia Cameretta Records / Lady Sometimes Records)

rock

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Black Tail- One Day We Drove Out Of TownOne Day We Drove Out Of Town, secondo album dei Black Trail, ha uno di quei titoli che sanno scatenare l’immaginifico delirio diurno della mente come poco altro.

Perché immediatamente si immaginano le route polverose allineate dai cactus, i cheap motel, i diner con pompa di benzina, le insegne semi arrugginite che cigolano dondolate dal vento, e ci si perde inevitabilmente nel sogno di ripercorrere le orme di Jack Kerouac e della beat generation.

E l’embrione di questo progetto musicale nasce proprio lì, fuori città, nei boschi intorno a Boston dove Cristiano Pizzuti (voce, chitarre, tastiere) si trovava nel 2012. Ma questo fa parte della storia che, chi ha seguito i Black Trail già dal loro esordio con Springtime (2015), già conosce bene.

Stavolta il duo si è spinto oltre, siamo nei territori immensi del folk frastagliati da qualche venatura rock.

Già dal primo pezzo è ben chiaro che l’andatura, scandita dal ritmo gentile di Roberto Bonfanti (batteria), è quella di una vecchia Chevy che vuole assaporare ogni metro di strada e portarne fiera a destinazione la polvere sulle gomme.

Campfire è il primo brano che spezza un po’ il ritmo, tinteggiando una ballabilità vagamente scanzonata, quasi in stile moderno saloon, ma sempre senza perdere di vista quel thread di “eleganza” lungo cui si dipana ogni nota.

A Fox inizia con un arpeggio che ricorda i Beatles sotto una melodia di Simon & Garfunkel. Gradevole, ma manca qualcosa.

E’ Pizzuti a raccontarci la genesi del disco. “Io e Roberto ci siamo chiusi in una sala prove per tre mesi, scrivendo tutto il materiale dal nulla. Abbiamo deciso operare in maniera totalmente diversa dal nostro esordio, che invece era stato registrato in presa diretta in soli tre giorni. Ci siamo trovati a dover ragionare in maniera organica sulle parti, ciò ci ha consentito di aprire la gamma sonora ad altre influenze che amiamo da sempre e che forse non erano così evidenti in Springtime”.

ODWDOOT è stato registrato tra il novembre del 2016 e il marzo 2017, come il precedente lavoro al VDSS Studio di Morolo (FR), e la produzione musicale è stata curata per la maggior parte dai due membri della band con la collaborazione di Filippo Strang alla registrazione e missaggio e di altri musicisti che hanno completato la line-up delle diverse tracce.

“L’album – affermano i Black Tail – racconta la necessità di trovare una corrispondenza in ciò che si muove intorno a noi, anche, se non soprattutto, quando ciò significa sentirsi contemporaneamente parte di realtà infinitamente o infinitesimamente divergenti.”

Per quelli che, prima di lanciarsi nell’ascolto, non possono proprio fare a meno di paragoni con altri artisti, ecco quelli che gli stessi Black Tail propongono: Wilco, Yuppie Flu, Elliot Smith, il jangle pop dei Teenage Fanclub, il folk di Songs: Ohia, l’attitudine obliqua di Silver Jews e Malkmus, il cantautorato uggioso di Sparklehorse e le reminiscenze più acide degli italiani Franklin Delano.

Convinti ora a premere play?

Su, coraggio, ne vale la pena.

 

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