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Black Country, New Road: recensione di Ants From Up There

I Black Country, New Road continuano ad alimentare il loro processo evolutivo con la realizzazione del secondo album Ants From Up There: un sound globale che mescola post-rock, musica classica, folk acustico e contaminazioni klezmer.

Black Country, New Road

Ants From Up There

(Ninja Tune)

folk prog, post-rock, sinfonica, klezmer, art rock

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Black Country New Road- recensione di Ants From Up ThereA distanza di un anno dalla pubblicazione del primo disco For The First Time, la band art-rock britannica Black Country, New Road presenta il suo sophomore album intitolato Ants From Up There, edito per Ninja Tune e anticipato dall’uscita dei singoli Chaos Space Marine, Bread Song, Concorde e Snow Globes.

Proprio a pochi giorni dall’uscita del secondo atteso disco Ants From Up There, come un fulmine a ciel sereno, Isaac Wood, frontman del gruppo londinese, lascia il progetto. A diffondere la notizia shock è stata la band stessa attraverso un comunicato stampa ufficiale, con il quale ha annunciato anche la cancellazione dell’imminente tour promozionale e la volontà di andare avanti comunque, nonostante la defezione di Isaac Wood. Diciamo che adesso staranno più larghi.

Sull’onda del successo ottenuto con l’esordio discografico e isolandosi sull’isola di Wight per la registrazione di Ants, i sette componenti della formazione originaria di South London (Lewis Evans, May Kershaw, Charlie Wayne, Luke Mark, Isaak Wood, Tyler Hyde e Georgia Ellery) sono tornati nuovamente a sollecitare e solleticare la curiosità e le (alte) aspettative della critica e dei fan, rilasciando dieci tracce inedite, fresche e focalizzate sull’attualità, sulle conseguenze sociali che, a causa della pandemia e del padel, ormai da un paio d’anni, ci hanno catapultati in un vero e proprio regno del caos umanistico, stravolgendo e recintando le nostre abitudini, i nostri spostamenti, le nostre relazioni.

Ci siamo ritrovati a dover condividere un presente fatto di universi paralleli, di mondi e tempi che non conoscevamo, e che tuttora conserviamo in isolamento, in naftalina, sottovuoto, con paura e diffidenza verso il prossimo, contando le briciole di pane nel letto ed il lento incedere del nostro orologio biologico.

Discostandosi parzialmente da quella breve parabola stilistica “Slint oriented” del debut album, e resistendo al richiamo delle sirene del post-punk revival che da qualche anno stanno attirando le nuove generazioni musicali delle grigie periferie inglesi, i Black Country, New Road decidono di imboccare un percorso di crescita collettivo, proteiforme, collaborativo e stratificato (come già intrapreso da diverse realtà emergenti della scena di South London e dintorni, quali Black Midi, Shame, Squid e Dry Cleaning), cercando di alimentare e dare continuità al proprio sound globale, ampliando, così, il proprio linguaggio cosmopolita e riuscendo ad amalgamare capacità creative e revisionismo creativo.

Assecondando e sincronizzando la progressione naturale di ogni singolo elemento, i Black Country, New Road costruiscono una bolla orchestrale e dinamica sottoforma di rappresentazione fusion e avant-rock, seguendo un’organizzazione secondo regole ed architetture precise, come quelle che governano la vita sociale delle formiche, che interagiscono tra di loro e che si comportano in base ai ruoli che sono stati loro assegnati, pur senza mai trascurare quella che è la spinta intuitiva, inclusiva e divertente legata all’improvvisazione, alla spontaneità.

Quello dei Black Country, New Road è un genere di world music che scorre su una mappa di canali polifonici, come vasi comunicanti che, alla fine, riescono a bilanciarsi e coesistere all’interno di un capitale espressivo corale, dove trame eclettiche e oblique vanno a coniugarsi a una flessibilità armonica presa in prestito dalla musica classica, dal folk acustico, dall’operetta e dalle contaminazioni klezmer, con una maggiore consapevolezza nei propri mezzi e, al contempo, coinvolgendo un contesto dalle sonorità più accessibili.

L’apparato testuale di Ants From Up There chiama a raccolta una sorta di intimismo dalle atmosfere poetiche ed ermetiche, alternando passaggi gioiosi, stravaganti e accattivanti a momenti più delicati, profondi, commoventi e malinconici, mettendo in evidenza una sorta di surrealismo introspettivo e caricandosi di mistero allegorico, un po’ come quei trasparenti globi di neve fatti di vetro o cristallo, che nei film e nella letteratura moderna vengono spesso usati come simbolo della giovinezza, dell’innocenza: un saliscendi emozionale e strumentale che oscilla tra moderazione ed entusiasmo, tra la necessità di aggrapparsi al conforto della tradizione, delle convenzioni, di certe istantanee del passato, e quello che è, invece, il geometrico e calcolabile ordine del mondo, al quale si oppone tutto ciò che rientra nella sfera dell’irrazionale.

facebook.com/BlackCountryNewRoad

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