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Big Sea: recensione album omonimo

Lo spartito compositivo dei Big Sea si costituisce come un mix istintivo di contaminazioni anglofone, dalle quali emerge tutta l'urgenza espressiva del collettivo felsineo.

Big Sea

s/t

(Grandine Records)

garage rock, post-grunge, post-punk, fuzz

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Big Sea_recensioneÈ uscito l’EP d’esordio omonimo del trio garage rock bolognese Big Sea, edito per Grandine Records.

Francesco Bortolini alla chitarra e voce, Davide Trimboli al basso e Francesco De Giulio alla batteria (“we are just employees”, come amano presentarsi), con il neologismo “garageous”, definiscono il registro stilistico e le sfumature sonore multiformi presenti nei quattro titoli di questa prima posa discografica: un mix istintivo e acerbo (nell’accezione positiva del termine) di contaminazioni anglofone dalle quali emerge tutta l’urgenza espressiva del collettivo emiliano, in cui ogni elemento viene prima bagnato e poi asciugato dalla brezza tiepida di atmosfere nostalgiche, ipnotiche, oniriche, polverose e agrodolci.

Si va dalla frenesia del garage fuzz alle abrasioni acustiche del grunge, dalle pennellate riverberate del post-rock alle dilatazioni ovattate dell’emocore, dai convulsi echi tribali e motorik di matrice krautica al tocco gommoso del glam rock, filtrando il tutto attraverso soluzioni ritmiche, quando taglienti e quando anemiche, che sconfinano nel vigore pulsante new-wave e nelle spigolose e meccaniche reminescenze avant-rock dei Devo (tanto per dare un’idea del perimetro strumentale), con l’unico rischio di risultare, seppur con tutte le attenuanti del caso, leggermente troppo calligrafici.

Dal versante delle tematiche, quello dei felsinei Big Sea si costituisce come un concentrato di stati d’animo e paesaggi in perpetuo movimento, che si affacciano, con sguardo disilluso e malinconico, su una contemporaneità sempre più alla deriva, reinterpretando la metafora elettrica del mare, in tutta la sua grandezza allegorica e quale archetipo del viaggio che da fisico si fa introspettivo.

Un legame mistico e simbolico dal quale traspare quel pessimismo affine all’ispirazione esistenzialista di Ernest Hemingway, nella veste di inquieto e poetico collante emotivo, che mette in contrapposizione le forze della natura ed il mondo creato dagli esseri umani: tra controverse sensazioni di libertà, terrore e solitudine, il soggetto narrato dai Big Sea sfida le proprie capacità navigando contro il vento letargico del conformismo, cercando di superare l’imprevedibilità degli eventi e della quotidianità, nel tentativo di riappacificarsi con tutte quelle aspettative disattese e di non naufragare al confine tra l’illusione del sogno e le patologie interattive della realtà.

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Andrea Musumeci
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