Balto
Forse È Giusto Così
(Pioggia Rossa, Dischi Schiuma)
emocore, shoegaze, soft rock, indie-rock
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A distanza di cinque anni dall’EP d’esordio È Tutto Normale, e dall’incontro con i produttori Manuele Fusaroli e Michele Guberti, esce il primo full-lenght della band indie-rock Balto intitolato Forse È Giusto Così, edito per le etichette Pioggia Rossa e Dischi Schiuma e anticipato dai singoli Quella Tua Voglia di Restare, Preghiera Della Sera, Mac Baren, Le Giornate Da Morire feat. Cara Calma e Niente Di Noi.
Con questo nuovo capitolo discografico il collettivo di Misano Adriatico ma di base Bologna, composto da Andrea Zanni (voce, chitarra), Marco Villa (basso), Alberto Piccioni (batteria) e Manolo Liuzzi (chitarra), prendendo in comodato d’uso il senso di protezione dei portici della città di Bologna, punta a convogliare vite universitarie, treni regionali, camere in affitto, esperienze personali e progetto musicale all’interno di sonorità energiche, inquiete e umorali, riff scanzonati di fattura radio oriented, ritmiche elettroacustiche folk ed atmosfere cariche di pathos.
Rielaborando la propria cifra stilistica attraverso un carattere identitario più maturo sia dal versante testuale che strumentale, ed alternando delicatezza e aggressività a una rinnovata sensibilità compositiva, il quartetto bolognese concepisce un rock di provincia autobiografico (si dice sempre così) che, da un lato, si rifà a quel sound intimista e viscerale dal retrogusto emo-power e shoegaze di marca anglofona, e dall’altro rievoca quel malessere cantautorale dei Duemila ascrivibile alla ormai consolidata formula indie-rock tricolore di realtà quali Fast Animals and Slow Kids, Cara Calma, Elephant Brain, Maldimarte, Demagò e Il Corpo Docenti.
Per quanto riguarda l’aspetto tematico, le nove tracce di Forse È Giusto Così, rimaste nel cassetto per oltre due anni a causa della pandemia, ruotano intorno alle metafore esistenziali della zattera, del naufragio e della vita immaginata come un mare aperto. Quello raffigurato dai Balto è un oceano burrascoso, senza salvagenti, in mezzo al quale cerchiamo di tenere a galla i nostri cuori pesanti, di non annegare nel mulinello dei ricordi e nei rimpianti del non vissuto, ricercando un’opportunità per proteggerci dalle correnti contrarie e gravitazionali, da quel sentimento di rabbia mista a disillusione, dalle fragilità e le imperfezioni troppo spesso confezionate come colpe.
Tra crisi d’identità, false aspettative post adolescenziali, le incertezze quotidiane legate al precariato dei rapporti interpersonali in un presente che profuma sempre meno di futuro e sempre più di relatività ristretta, Forse È Giusto Così si materializza nel suo sguardo intimo, malinconico e (auto)critico nei confronti delle nostre azioni e delle conseguenze del fattore crescita barra consapevolezza; una presa di coscienza che spesso cerca rifugio nell’incoerenza e nell’inerzia dei nostri passi, in un mondo popolato di individui soli, tormentati e svuotati del loro spirito, ma che forti di una sensibilità più accentuata rispetto agli altri riescono a cogliere meglio certe sfumature che trascendono quella realtà rappresentata nei romanzi di Murakami.
Prendendosi cura delle ferite dell’anima, con pazienza orientale, al fine di esaltarne la loro ricostruzione e renderle più preziose, tanto esteticamente quanto interiormente, l’unico antidoto anestetico contro l’apatia dell’oggi (secondo i Balto) sembra essere proprio quello di prendere le cose così come vengono, con più leggerezza: eh sì, perché ogni tanto è necessario scollarsi quelle pellicole grigie che ci avvolgono e lasciarsi trasportare da quelle onde che non dipendono dal nostro movimento, e che, per forza di cose, non potremo mai controllare del tutto. D’altronde, come può uno scoglio arginare il mare.
Ed è proprio grazie a quel distacco che riprenderemo finalmente a meravigliarci di fronte a un soffitto color pastello, tornando ad esprimere certe emozioni represse e magari, perché no, riusciremo anche a (ri)trovare un equilibrio armonico con noi stessi e con le diversità che ci circondano. E che, in fondo, questo naufragar ci sia dolce in questo mare.
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