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Artemio: la recensione di Pianeta distorto

Gli Artemio tornano con un nuovo EP che racconta un suono più maturo, fortemente incentrato sulle varie sfumature che il rock ha assunto nei gloriosi anni ’90.

Artemio

Pianeta distorto

rock, grunge

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artemio recensione pianeta distortoA quattro anni dall’album di debutto (già recensito su queste pagine), i milanesi Artemio tornano con un nuovo EP per dare un assaggio dell’evoluzione del loro suono. Un rock sempre ben ancorato nell’ultimo decennio del secolo scorso, ma più curato e ricercato. Con Pianeta distorto tornano anche all’autoproduzione, e festeggiano una libertà stilistica che non tutti possono (o vogliono) permettersi di avere.

Sebbene sia chiaro che gli Artemio hanno ben imparato la lezione dei maestri (nazionali e internazionali) degli anni ’90, rispetto al loro primo lavoro in Pianeta distorto c’è maggiore personalità. La band è cresciuta, e questo si sente anche a livello di suoni e di qualità della registrazione.

Le cinque tracce, più un intro molto interessante dal vago sapore industrial, rispecchiano un tipo di scrittura piuttosto personale, che guarda dentro di sé piuttosto che alla collettività. Il sound mette al centro di tutto la chitarra, a cui ampio spazio è lasciato in riff e code che contengono tutte le sfumature del rock, dal grunge al glam metal.

Il percorso scelto dagli Artemio è ancora una volta in salita. In un’epoca che auspica un ritorno dei gruppi, loro devono cercare di svecchiare sonorità che hanno lasciato il segno. Per darle in pasto ai nativi digitali e per non farle sembrare una mera rielaborazione di antichi splendori per noi che digitali lo siamo diventati per necessità.

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Simona Fusetta
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