Apparat
Roma, Circolo degli Artisti, 4 novembre 2011
live report
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Pienone delle grandi occasioni a Roma per la calata di Apparat, che in verità dalle nostre parti è di casa, soprattutto alle consolle dei dancefloor.
La sua ultima fatica, The Devil’s Walk, è la protagonista assoluta della scaletta del concerto di stasera, simile eppure diverso da quanto visto e sentito al Meet in Town Festival lo scorso luglio.
Ad ascoltare i Warren Suicide (bravi e affatto semplici) siamo davvero quattro gatti e la concomitanza con almeno altri due eventi lascia pensare che sia Apparat e la sua band a rimetterci le penne. Invece non è così, la gente arriverà trafelata tutta all’ultimo momento (e i più addirittura a concerto iniziato da quindici minuti), complici la solita giornata complicata per il traffico capitolino e il cattivo costume di tirare tardi ad ogni costo.
Apparat arriva alle 22 e 15 sul palco, dove vi rimarrà per 90 minuti, bis compresi. Stupefacente, vista la scaletta. Come dicevamo, ha mischiato un po’ le carte, cambiato l’ordine, ma la tracklist è essenzialmente quella di luglio, ovvero tutto The Devil’s Walk, il ripescaggio di Rusty Nails dal repertorio dei Moderat (tra l’altro stasera sbagliata nel primo ritornello, quando Sasha ha perso una nota) e un brano da Walls, pubblicato qualche anno fa in condominio con Raz O’Hara.
Senza i vincoli dei tempi stretti di un festival, Apparat e i suoi (batteria, chitarra/basso/tastiere, tastiere, oltre a due dei Warren Suicide che intervengono agli archi per buona parte del concerto) si prendono tutto il tempo di cui hanno bisogno per dilatare e stravolgere i brani, con lunghe intro e/o outro, eteree, ipnotiche e psichedeliche.
Per questo concerto vale praticamente tutto quello che avevamo scritto in occasione della pubblicazione di The Devil’s Walk, ovvero che stavolta Apparat ha espresso il meglio di sé come costruttore/tessitore/inventore di suoni, ma le canzoni sono fatte di una pasta compositiva davvero troppo fragile per lasciare il segno.
Ad ogni modo, soprattutto in quest’ottica, alla cura del live ci rimettono pezzi come Black Water (di cui non arrivano le vibrazioni prodotte sulle pelli e altre sottigliezze sonore, apprezzabili su disco); la cronica maleducazione del pubblico romano (che a onor del vero è fatto da tantissimi stranieri e ancor di più da studenti fuori sede da un po’ tutta Italia) soffoca i passaggi più delicati di molti brani, tanto da – verso la fine – far dire ad Appart: “Posso chiedervi un favore? Potete chiudere quelle cazzo di bocche?” Ma è inutile, la maggior parte delle persone non ha neanche capito.
Guarda la foto gallery del concerto
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