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Annuals: Count The Rings

Sei ragazzi del North Carolina decidono di presentarsi al pubblico europeo. Count The Rings non è semplicemente una raccolta, ma qualcosa di più

Annuals

Count The Rings

(Cd, Souterrain Trasmission)

indie pop

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Annuals- Count The RingsQuello che ci apprestiamo ad ascoltare non è il solito gruppo pop.

Gli Annuals sono la tipica band “sui generis”: possono accettare un’etichetta impostagli ma difficilmente questa calzerebbe appieno col loro stile. Dire che il loro è un allegro pop di matrice indie è a dir poco riduttivo, nonostante possano perfettamente inserirsi in questo movimento. Perciò, cosa suonano gli Annuals? Ce lo spiegano loro, a noi europei, con Count The Rings.

Sono giovani, sono dei musicisti preparati (un complesso con addirittura tre potenziali batteristi, più ovviamente un batterista puro), e sono americani. Questo è molto importante, scopriremo tra poco perchè.

Count The Rings è una raccolta di singoli e di b-sides, una mera operazione commerciale per far conoscere gli artisti del North Carolina a noi europei. Ciò che fin dai primi ascolti si evidenzia è l’incredibile freschezza dei brani e la loro indubbia qualità; piccoli gioiellini di tre, quattro minuti massimo che attraggono inesorabilmente l’ascoltatore grazie a delle ritmiche mai banali e sempre, sempre, sempre in primissimo piano.

Questo è infatti il punto di forza della band: sfruttando appieno le spiccate tendeze groovy dei componenti, i brani prendono piede da un’impalcatura composta da percussioni di vario tipo e da linee di basso incredibilmente catchy, lasciando così librare in alto giochi di tastiere e chitarre che formano un delicato intreccio su cui riesce a danzare una leggerissima voce, spensierata e ingenua.

Ma gli Annuals con questo Catch The Rings ci vogliono avvertire che non sono solo questo. Ed è vero, sono molto di più. Infatti questa è una di quelle poche band indie pop americane che fa di tutto per non suonare “troppo europea”. Per capire meglio: gli Annuals pescano un po’ ovunque dal loro territorio natio, dal country al blues, cercando di assimilare il tutto e di riproporlo in una forma-canzone tipicamente pop (Hair Don’t Grow, che canzone!).

Il voto da dare al disco non sarà mai altissimo visto che una compilation non sarà mai una produzione complessa quanto un album di inediti, ma è indubbio che questi sono dei ragazzi capaci che non hanno affatto paura di sperimentare.

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Stefano Ribeca
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Giovane bello ed intelligente.

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