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Anathema: Intervista

Rockshock parla con Vincent Cavanagh del nuovo disco degli Anathema, del vivere in una band che è anche una famiglia - e viceversa - e delle responsabilità dell'artista

Anathema

We’re Here Because We’re Here

(CD, KScope)

metal

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anathema-we're here because we're hereIl loro nuovo disco, We’re Here Because We’re Here, disponibile dal 31 maggio, porta di nuovo alla ribalta il nome degli Anathema e aggiunge un nuovo capitale tassello al loro complesso e intenso percorso musicale.

We’re Here Because We’re Here è un album avventuroso; difficile stabilire a priori dove porterà. A tratti estremamente denso, a tratti sospeso e rarefatto, riesce comunque a essere luminoso, anche nei suoi angoli più scuri. Ci sono momenti delicati, sommessi, come in apertura con Thin Air, o con Dreaming Light, ma anche drammatici (Angels Walk Among Us, Universal).

Le dieci tracce dell’album sono un condensato di emozioni e pensieri che si autoalimentano, vibranti e cangianti e che offrono rinnovate suggestioni a ogni ascolto, restituendo l’idea di un equilibrato dialogo tra mente e cuore, portato a compimento sia in modo sottile, quasi sottovoce, sia in un crescendo trionfante.

Rockshock ha intervistato telefonicamente Vincent Cavanagh, voce e chitarra della band di Liverpool, che ha illuminato con chiarezza e ironia alcuni aspetti della genesi dell’album e della loro lunga carriera. Lo contattiamo in tarda serata, la sua voce è un po’ stanca ma allegra.

Rockshock. Ciao, come va? Immagino siate molto impegnati con la promozione dell’album?

Vincent Cavanagh. Va tutto bene, anche se è stata una lunga giornata. Si, facciamo che va bene (ride). Avevo completamente dimenticato questo aspetto, sai, la promozione…

Rockshock. In merito all’album, quali sono le principali idee, emozioni e influenze di We’re Here Because We’re Here?

Vincent Cavanagh. Prima di tutto c’è la musica, che è qualcosa che viene fuori di getto, istintivamente, come sempre, e che arriva da qualcosa che è al di là dello sforzo cosciente di creare qualcosa. E poi ci sono le idee di crescita personale, trasformazione, e forse più precisamente di evoluzione.

Rockshock. Sono concetti importanti e che filtrano e traspaiono ascoltando l’album.

Vincent Cavanagh. Si, e in particolare penso che sia la cosa più completa che abbiamo mai fatto. Tu hai un’idea e accade che l’idea stessa ti guidi circa il modo in cui portarla a compimento. Non ha per forza a che fare con il costruire qualcosa coscientemente, l’idea è già lì. Come in Universal, ad esempio, avevo dei pensieri in mente e l’intera cosa è andata avanti, è diventata reale. Tutto quello che devi fare è intuire, produrre il potenziale dell’idea. Non è facile da spiegare, ma…non è che ti metti seduto a pensarci su o a pianificarlo, la musica non funziona in questo modo: è istinto, trasforma le emozioni in creazione e devi capire dove queste idee vogliono andare…nello stesso giorno puoi avere due idee diverse e scriverle. E quelle idee, scritte dalla stessa persona nello stesso momento, nella stessa giornata, prendono direzioni diverse e noi non poniamo loro limiti in merito a dove possano andare.

Rockshock. Suonerete di nuovo con i Porcupine Tree in Italia, e Steven Wilson ha mixato il vostro nuovo album. Che rapporto avete con lui, c’è qualche tipo di vicendevole influenza?

Vincent Cavanagh. Non so cosa provi lui quando scrive musica, come lo faccia, non posso dirlo, ma so che lo rispettiamo molto; lui e la sua band sono fantastici. Non so veramente quanta influenza abbia su di noi, penso che in sostanza proveniamo dalla stessa stirpe, condividiamo lo stesso vocabolario di base e conosciamo gli stessi registri, abbiamo l’ambizione di creare qualcosa di completo. Come ho detto prima, quando si parla di musica non si parla sempre di un livello cosciente. E spesso le tue idee e il tuo rispetto per quello che fanno altre band magari non hanno alcuna rilevanza in merito al tuo scrivere. Solo a posteriori si possono fare dei paragoni, ma non avviene a un livello conscio: direi che la maggior parte delle nostre influenze sono in larga parte a livello subcosciente.

Rockshock. Con questo album in un modo o nell’altro raggiungete i venti anni di attività, che è un bel po’ di tempo. Come ti fa sentire questo fatto?

Vincent Cavanagh. In realtà non considero l’ultimo paio di anni un “essere attivi” (ride). No, penso proprio che abbiamo ancora un po’ di strada da fare per raggiungere questo traguardo. Comunque considera che parliamo di persone che si conoscono sin da bambini, John [Douglas] ed io abbiamo una storia in comune che è iniziata praticamente quando avevo dieci anni. A quel tempo i miei genitori avevano avuto l’oppurtunità di decidere se mandarmi a scuola con Danny, l’altro mio fratello, o con Jamie [il fratello gemello]. Alla fine decisero di mandarmi nella stessa scuola di Jamie. Il primo giorno di scuola, quando venne chiamato Jamie, lui era in un’altra classe e l’insegnante mi fece sedere vicino a John Douglas perché eravamo contigui nell’ordine alfabetico. La bizzarra conseguenza di questa situazione fu che io e John siamo migliori amici oggi così come lo eravamo a dieci anni.

Rockshock. Questo in un certo senso anticipa la mia domanda successiva, e cioè se avere relazioni familiari, o comunque molto forti all’interno della band abbia una ricaduta sul vostro processo creativo, come si intrecciano relazioni personali e artistiche?

Vincent Cavanagh. Abbiamo un rapporto molto stretto l’uno con l’altro…non posso fare paragoni perché non sono mai stato in un’altra band (ride), non so come sia l’alternativa. Posso immaginare che per molti non sia facile, perché conosci qualcuno talmente bene da condividerne la vita… è un modo di vivere molto intenso, per tutti noi, forse un matrimonio potrebbe dare un feeling del genere. E comunque preferisco vivere un simile tipo di vita con i miei fratelli piuttosto che con degli estranei, assolutamente. Rivalità, risentimenti, sono qualcosa che ci siamo lasciati alle spalle da molti anni. Non litighiamo, siamo vicinissimi l’uno all’altro. Abbiamo avuto una gran fortuna, del resto. Quando non siamo sul palco ci divertiamo e ridiamo molto insieme. Abbiamo avuto anche dei periodi di schifo, ma fanno parte di noi, di una famiglia; in quanto tale, queste difficoltà le avremmo avute comunque. Penso sia anche parte della ragione per cui abbiamo chiamato l’album We’re Here Because We’re Here: perché la storia originaria di questi ragazzi nella prima guerra mondiale [il titolo dell’album è lo stesso di una canzone cantata dai giovani soldati nelle trincee] in un certo senso riflette noi, la nostra storia, il legame che ci unisce l’uno all’altro e anche la possibilità di aver incontrato John e di essere qui dove siamo oggi.

Rockshock. I vostri primi album sono molto diversi da quelli più recenti. C’è qualcosa in loro in cui ancora vi riconoscete, cosa provi nei loro confronti?

Vincent Cavanagh. Penso Crestfallen e They Die, voglio ancora leggere cose in queste canzoni. Anche allora comunque non volevamo chiuderci in uno schema preciso, ed è anche per questo che ci siamo allontanati dal nostro primo sound con estrema naturalezza. Abbiamo sempre pensato diversamente: anche quando abbiamo registrato i primi album, io non ascoltavo affatto heavy metal, più i Pink Floyd e cose del genere. Eravamo simili ad altre band, e anche se eravamo considerati come parte di quel movimento che prendeva piede allora, non sentivo di voler stare in quel gruppo, pensavamo in maniera differente. Siamo oltre le classificazioni e oltre i generi tradizionali; abbiamo le stesse ambizioni di quelle band inglesi tradizionali che hanno continuato e continuano a evolvere, gruppi come Pink Floyd, Beatles e Radiohead. Sono queste le band che amiamo, saremo sempre su quella lunghezza d’onda.

Rockshock. …per essere libero di suonare ciò che ti piace e ciò che senti veramente, non quello che gli altri ritengano tu debba suonare…

Vincent Cavanagh. Già. Perché hai una responsabilità, come artista, ovvero qualcuno che crea qualcosa. A un certo punto ti rendi conto di non possedere più la tua creazione, diventa di tutti, del pubblico. La responsabilità è lasciare alla gente la libertà di possedere la tua idea, di tracciarvi le proprie connessioni, di non farsela piacere, se vogliono. La cosa importante però è che quando l’idea che hai è ancora in tuo possesso, la responsabilità nei confronti della tua idea è lasciare che sviluppi il suo potenziale, al di là di pensieri esterni, ad esempio le aspettative: se alla gente, al pubblico piacerà, se piacerà alla stampa, se venderà. Abbiamo una responsabilità e ne siamo pienamente coscienti. Con la musica, specialmente per quanto ci riguarda, abbiamo una specie di comprensione istintiva, di energia tra di noi, regolata dalla democrazia, che è fondamentale soprattutto quando si crea.

Rockshock. Nei prossimi giorni suonerete in Russia, e poi avete delle date già programmate: pensate di aggiungere altre date, di fare altri concerti nel prossimo futuro?

Vincent Cavanagh. Si, abbiamo dei festival in estate, non che siano tantissimi, ma saremo presenti in alcuni festival, come il Pistoia Blues, in cui suoneremo con i Porcupine Tree. Dopo ciò ci sarà un tour europeo vero e proprio in autunno, che probabilemnte verrà divisto in due parti: in una parte il Nord Europa, poi il resto dell’Europa nella seconda parte. Vogliamo senz’altro suonare in tour e nel frattempo continuare a scrivere nuovo materiale, non smettiamo mai di scrivere musica.

Rockshock. E’ fantastico, non mi resta che ringraziarti e farvi gli auguri per l’album…

Vincent Cavanagh. (ridendo) Sono stato vicino all’album per così tanto tempo, e all’improvviso è là fuori. Mi sento come un padre il cui figlio sia appena andato via di casa, e tutti intorno a me non mi parlano d’altro.

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Miranda Saccaro
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