Agghiastru: Incantu
(Cd, INCH Productions/Audioglobe, 2008)
folk d’autore
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Ad un anno dall’ Incantu intimo e meditativo del debut album, Agghiastru torna alla realtà con , in cui la verità cela un altro volto, in cui ad un pianoforte introspettivo si aggiunge improvvisamente una chitarra elettrica, in cui ad una ritmica melanconica si accosta un valzer decadente.
Musica e testi (molti dei quali in vernacolo) sono intrisi di sicilianità, le tematiche melodrammatiche ne riempiono i versi, storie di amori e “disamori”, vite illuse e disilluse, veli e svelamenti sono il filo conduttore dell’album che ruota attorno all’ossessione di Agghiastru per le spose, le feste nuziali, i riti matrimoniali legati alla sua terra, che invadono addirittura lo spazio visivo del suo album: sulla copertina è ritratto lo stesso personaggio presente su quella di Incantu, mascherato con velo ed abito da sposa.
Ed infatti il brano di accesso a Disincantu parla di una fuitina d’amore, Fuì, con l’amara ironia che contraddistingue lo stile di Agghisatru: a fuggire non è la ragazza assieme al suo amante, ma l’amore dal suo cuore. Un altro personaggio femminile è protagonista di Idda (lei), brano cantato in italiano, in cui si affaccia una chitarra elettrica western quasi a suggerire un raccordo tra il deserto arizoniano e quello che circonda la mancata sposa, situazione analoga a quella presentata dai sei minuti di Bianco verginale. Una citazione mitologica è il pretesto per un accenno all’infelicità di un’altra sposa, forse la più infelicemente celebre delle spose, Medea, cui è dedicato Mia Dea, brano conclusivo dell’album. Ma le canzoni a sfondo nuziale non sono ancora terminate: Fiori d’arancio e crisantemi è un valzer ispirato all’Agnese del film Sedotta e Abbandonata di Pietro Germi.
Campari, lontano dall’essere un omaggio al noto aperitivo milanese, è un twist anticonvenzionale condito con nero umorismo che mette in relazione il normale concetto di “vivere” a quello più siciliano di “campare”, evidenziandone la sostanziale differenza. Non mancano infine i brani dedicati a personaggi bizzarri e stravaganti come Filippo Bentivegna che, tornato a Sciacca dopo essere stato in America a cercar fortuna, inizia senza ragione alcuna a scolpire teste nella roccia creandosi un piccolo regno con tanto di sudditi da governare (Ula arsa); oppure come il cantastorie Saru, detto il mantice, che incantava le donne del paese con la propria fisarmonica (Saru mantici).
Rispetto all’opera prima, Agghiastru aggiunge sonorità nuove ed arrangiamenti più ricercati, ma Disincantu resta dichiaratamente (fin dal titolo e dalla copertina) una conseguenza di Incantu. Tematiche e scale sottolineano in modo marcato questa dipendenza rischiando di generare un prodotto-clone, in cui, al di là dello stile personale che necessariamente deve essere marca distintiva dell’artista, si percepisce una sorta di ridondanza che aggiunge poco a quanto Agghiastru ci aveva già detto.
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