Mac/Corlevich
Rain Or Shine
(XO La Factory)
alternative folk, country folk, americana, folk acustico, fingerpicking, southern folk
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“Non tutto è giorni di sole, e la pioggia, quando manca da molto, la si invoca. Per questo prendo la felicità e l’infelicità naturalmente, come chi non trova strano che esistano montagne e pianure, che esistano rocce ed erba”. (Fernando Pessoa)
In quell’intervallo di dissolvenza che oscilla tra l’argento della pioggia e l’oro del sole, i Mac/Corlevich provano a trasformare la musica in metafora di un viaggio interiore, attraverso il loro album d’esordio intitolato Rain Or Shine, edito per l’etichetta XO La Factory e anticipato dall’uscita dei singoli Machines e Something Beautiful.
Con tratti di similitudine tra le atmosfere pastorali delle suggestive praterie americane e il fascino paesaggistico delle caliginose campagne inglesi, il duo country folk veronese – composto dai musicisti Cristiano Mecchi e Davide Corlevich – allinea i rispettivi percorsi musicali all’interno di questo nuovo progetto cantautorale, seguendo un sentiero acustico di ispirazioni campestri e progressioni armoniche dai bagliori elettroacustici.
Un lavoro intimo e artigianale distillato in dieci tracce (tra cui la cover di Let Your Eyes Wander, sentito omaggio a Chris Cornell) dai suoni caldi e avvolgenti, che come seta sfuggente scivolano in punta di dita su corde epidermiche dolcemente pizzicate, per poi fondersi nel naturale avvicendamento tra il malinconico foliage di fresche brezze autunnali e il respiro en plein air di tiepide solarità primaverili.
Così, aprendosi a un’iperattività di arpeggi dal tocco morbido e ammaliante, i Mac/Corlevich si muovono con passo vellutato tra dolcezza e inquietudine, illuminazione e smarrimento, andando alla ricerca di quel sole che riscalda e dà sollievo, ma che al tempo stesso custodisce perturbanti oscurità.
In Rain Or Shine, ogni cosa profuma di equilibrio e pacatezza, di maturità e attenzione: luccicanti riverberi jangly e fingerpicking nickdrakeiano si intersecano a tessiture country-folk tinte di blues, mentre delicate e balsamiche armonie vocali dalle striature soul si adagiano su una densità esecutiva di accordi melodiosi, sognanti e vibranti, rievocando il timbro stilistico dei vari John Moreland, Chris Cornell, George Harrison (Machines), James Taylor (Farewell Kisses) e Simon & Garfunkel.
L’intera attività tematica della release, tra incisi di chitarra e pianoforte, si mostra in tutto il suo valore contemplativo ed esortativo; un invito all’evasione, ad abbracciare l’incertezza che offre la scatola del destino, iniziando a dare una lieve scossa alla coscienza, alle difficoltà, allo scoramento, con la prospettiva di tornare a meravigliarsi e riscoprire la bellezza del mistero dell’essere noi stessi, senza alcun freno, senza alcuna egoistica prudenza.
Pertanto, nel limbo amletico di quella particella di congiunzione tra realtà opposte come pioggia e sole, che Gianni Rodari spiegherebbe con la fantasiosa e poetica metafora dell’arcobaleno e della tempesta, c’è ancora margine per rinnovare certe promesse e per tutto quello che la sensibilità può ancora cogliere ed esprimere.
Inseguiamo, dunque, il coraggio di mostrarci fragili, di guarire dalle guerre che abbiamo dentro, trovando la forza di affrontare quelle sofferenze che un giorno diverranno cicatrici indelebili. Magari sarà proprio quel dolore a salvarci, e a parlare di quello che non riusciamo a dire. Quindi, è tempo di guardare avanti e lasciarsi il passato alle spalle, ma se è vero che il passato può essere una terra sconosciuta, è altrettanto vero che il futuro può somigliare a un lunghissimo flashback.
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