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Gallus: recensione di We Don’t Like The People We’ve Become

I Gallus di We Don't Like The People We've Become guardano sia ai conterranei Franz Ferdinand e sia ai Green Day.

Gallus

We Don’t Like The People We’ve Become

(Marshall Records)

alternative

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I Gallus arrivano dalla Gran Bretagna, precisamente dalla Scozia, e si sente chiaramente il loro amore verso certe sonorità alternative provenienti dalla terra d’Albione.

Tra schizzi tipici dei Bloc Party (Moderation) e influenze che rimandano molto chiaramente ai Franz Ferdinand d’annata (Eye To Eye), i quattro si muovono su territori ampiamente sicuri che, soprattutto da quelle parti, hanno fruttato vagonate di dischi venduti ed enorme battage pubblicitario.

È anche vero che la band guarda spudoratamente anche dall’altra parte dell’Oceano, andando a toccare quel tipo di approccio di gruppi abbastanza popolari negli Stati Uniti, tipo Blink 182, Lit e Zebrahead, e Fruitflies ne è un classico esempio.

L’album si ascolta con piacere e scorre via senza molti intoppi, ma c’è qualcosa che non convince appieno. Lo si rimette nuovamente in circolo e rimane sempre un senso di insoddisfazione. Probabilmente sono proprio le canzoni a non avere lo spunto geniale che ci si aspetta da chi suona una musica che solo in apparenza potrebbe essere catalogata come facile o sempliciotta. Manca, e lo possiamo affermare a caratteri cubitali, lo spunto che porti i brani ad un livello superiore, ovvero a essere ricordati nel corso del tempo.

Un esercizio, questo, conseguito alla grande da gente tipo i succitati Franz Ferdinand o i Green Day, ma che per ora non pare non essere nelle corde degli scozzesi, molto abili nel cucirsi un abito interessante sul quale non riescono, però, ad abbinare la cravatta che gli faccia fare il salto di qualità che il bel vestito meriterebbe.

Ed allora ecco che scorrono in rapida successione canzoni rock come Missiles, Marmalade e Penicilin che sono piacevoli, ma nulla più. Insomma siamo lontanissimi anche dall’eccellenza raggiunta dai New Death Cult che hanno, invece, capito come fare centro in tal senso.

Qui il lato indie prevale troppo su tutto il resto ed il rischio di un confinamento del prodotto nell’ambito dei territori minati di una certa critica che ha la puzza sotto il naso e che, invece, schifa volutamente tutto ciò che possa lasciare il segno è fortissimo.

Guarda il video Gallus – Eye to Eye

 

 

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Francesco Brunale
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