Inanis Yoake
How Things Seem
(Dark Vinyl Records)
post-punk, darkwave, neofolk
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In questo mondo spesso animato da personaggi superficiali o peggio ambigui, esistono anime profondamente tormentate che non indugiano a scavare nelle proprie coscienze raschiando ferite ancora aperte fino a farle sanguinare all’infinito, anime inquiete alle quali il buio non fa paura, anzi lo cercano, lo esplorano e infine lo trasformano in porto sicuro, un luogo/non luogo dove gli unici spiragli di luce filtrano attraverso il male di vivere.
È in questo contesto che si identifica il percorso artistico degli Inanis Yoake, duo formato a Londra nel 2020 dal musicista e DJ romano Simone Skeleton (electric, chitarra acustica, voce, synths, testi) e Risa Hara (pianoforte, synths, voce).
Dopo l’intrigante esordio di In a Summer’s Silence, caratterizzato da un sound atmosferico e malinconico, il duo torna su mercato con How Things Seem, nuovo album su etichetta Dark Vinyl Records.
L’affascinante miscela di post-punk/darkwave con evidenti richiami al neofolk e alla new wave, attraversa le undici tracce incluse con estrema naturalezza creando un suono cupo, catramoso e dannatamente oscuro, ad impreziosire il lavoro d’insieme la presenza di alcuni musicisti di altissima caratura come Matt Howden (Sieben), Tony Wakeford (Sol Invictus), Toshi JC (The Professionals), Emiko Ota (Oxz) e Vivienne Cure.
The End Of The Horizon, l’inizio del viaggio, coincide con un momento di aulicità estrema, il macilento incedere delle prime note sfocia in una melodica orchestrazione di stampo neofolk, quando la voce entra in scena il tempo si ferma, Simone incontra King Dude, canta con toni distanti quasi fosse spettatore e non protagonista, così seduce e incanta.
Segue Nowhere con le splendide linee vocali di Roberto Conforti (Pulcher Femina) in una delle ballad più belle che abbia ascoltato nell’ultimo periodo, un concentrato toccante di tenerezza e nostalgia che spira nella frase “in a summer’s silence”, già titolo del loro primo album, come simbolo di un silenzio interiore troppo greve da sopportare.
Si cambia totalmente registro con Abandoned, traccia votata alla tradizione gothic rock dove una magnifica Vivienne Cure canta e firma le liriche dando prova di grande spessore artistico, poi The Edge Of Your Street, immersa in un’aura di sinistra magia dove esplode la voce evocativa, a tratti dissonante, di un immenso Tony Wakeford (anche al basso e alle liriche).
Trombe à la Death In June aprono la quasi “solare” Left Behind mentre le due mirabili tracce in italiano riportano ad un suono old style di derivazione new wave dei migliori anni ’80, in Niente Resta c’è qualcosa del Garbo più ispirato mentre Miraggio, accompagnata da un delizioso video di animazione, induce al raccoglimento profondo, di nuovo il tormento, di nuovo il male di vivere in questi giorni ambigui “portami via da qui, dove non c’è più rumore, se le parole entrano dentro passano prima dal corpo, lacerano la carne e lasciano la nausea al mattino, tutto quello che non ho mai voluto, un miraggio che non passa mai”.
Ma c’è un brano dal quale non riesco proprio a liberarmi, uno di quelli che se arrivasse dall’estero sarebbe già sulla bocca di tutti (maledetta esterofilia), parlo della title track che chiude il disco con una potenza inenarrabile, How Things Seem è un viaggio agli inferi senza ritorno, incalzante, storto, morboso, malato, un capolavoro oscuro, una pietra opalescente incastonata nel pathos di Simone che declama, sussurra, canta, usando una perfetta tecnica di stratificazione, siamo ai brividi ed oltre.
How Things Seem regala emozioni, a questo, credo, non debba aggiungere altro, gli Inanis Yoake segnano un rigore a porta vuota per chi come me ama, anzi adora, i vortici, gli strapiombi, le sabbie mobili e tutte le brumose fascinazioni del caso.
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