Il Silenzio Delle Vergini
La Chiave di Berenice
(I Dischi del Minollo, (R)esisto Distribuzione)
art-rock, post-rock, elettronica, new-wave, spoken word, elettro-rock
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A distanza di tre anni dalla pubblicazione di Fiori Recisi, anticipato dall’uscita dei singoli Alba Varden e Berenice, il collettivo bergamasco Il Silenzio Delle Vergini manda alle stampe il suo quarto lavoro in studio intitolato La Chiave di Berenice, edito per I Dischi Del Minollo e (R)esisto, sotto la guida di Michele Guberti di Massaga Produzioni.
Con questo nuovo capitolo autorale, il progetto Il Silenzio Delle Vergini – composto dal fondatore e chitarrista Armando Geco, Cristina Tirella al basso e voce e Marco Castaioli alla batteria – mantiene elevato il tenore qualitativo delle sue composizioni, dando seguito al proprio calligrafismo cantautorale e a quell’amore incondizionato per ogni declinazione e contaminazione espressiva dell’arte, mostrando come la musica riesca ancora a catalizzare l’ampio spettro delle emozioni umane.
Un’intesa intima, raffinata e confidenziale che si raccoglie all’interno di uno spazio malinconico, trasognante, evocativo ed arioso dai contorni cinematici alla Adrian Borland (Marguerite, Anastasia), dove traiettorie elettroniche mitteleuropee e certa densità new wave a tinte chiaroscurali (Vincent) si mescolano a quella luccicanza post-rock di rimando Explosions In The Sky, facendo da cornice epidermica al reflusso emotivo del presente e consumandosi attraverso una sentimentale ricerca tra generi e prospettive, tra coordinate sonore eterogenee, vissuto letterario, interpretazione timbrica e passione per la filosofia orientale dei manga (Maetel, Kaori Kosei).
Confidando nell’ormai collaudato connubio tra elettronica e rock, Il Silenzio Delle Vergini si proietta verso le connessioni interattive che regolano i rapporti interpersonali della contemporaneità, nel dualismo dei contrasti tra il proprio mondo interiore e il mondo interiore degli altri: microstorie di vita quotidiana fatte di luce e oscurità, di dolcezza e violenza, di fiori recisi che col tempo si sono trasformati in qualcos’altro e per i quali il tempo si veste da elemento riparatore, da antidolorifico passeggero in grado di restaurare le cicatrici del passato, le imperfezioni causate dalle ferite dell’anima, guardando al potenziale inclusivo della diversità come collante fondamentale della bellezza umana.
Accordarsi ad altre ritmiche esistenziali, mettendo a nudo gli scombussolamenti derivanti dagli inganni, dalle mancanze, dalle perdite affettive e dai pregiudizi, potrebbe essere il compromesso ideale per rintracciare nuovi stimoli e riscrivere la propria storia. Si riduce verosimilmente a questo il senso della vita e il concept de La Chiave di Berenice: trovare almeno una delle tante chiavi segrete dell’universo – come diceva Guccini – per dare voce alla propria identità, per riconoscere quell’essenziale che è invisibile agli occhi e che spesso si cela dietro maschere pirandelliane, dietro la finzione che siamo costretti a indossare quotidianamente.
Dunque, è sempre più difficile mostrarsi per ciò che realmente siamo, così coltiviamo un’immagine (quand’anche più di una) che non ci appartiene, mimetizzandoci dietro la cortina fumogena della retorica, dell’omologazione, dietro frontiere e confini che esistono solo nei nostri blocchi mentali, mentre gradualmente si esauriscono le energie per rimanere ancora umanizzati.
facebook/IlSilenzioDelleVergini
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