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Canadians: The Fall of 1960

Atmosfere sixties incentrate sull’amicizia, l’amore e la natura, per il secondo disco dei veronesi Canadians, con chitarre vivaci e un po’ malinconiche che spesso concludono in crescendo

Canadians

The Fall of 1960

(Cd, Ghost Records)

alternative pop

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Dopo il debutto di tre anni fa, riecco i veronesi Canadians che spostano il loro sound pop verso sonorità più rock. I cinque musicisti compattano un sound ricco di sfumature, forse un po’ troppo scorrevole nelle melodie comunque estese dall’utilizzo di strumenti ad arco e innesti di mandolino, banjo, tastiera. Intensivo l’uso dei cori nel cantato dei brani che risultano smaliziati.

Melodici e energici, il disco viene registrato in analogico e presa diretta per catapultarci in canzoni brillanti e immediate a metà tra Weezer e Beach Boys, che si riconoscono nei primi brani A Great Day e Leave No Trace. Seguono due brani più lenti, si fa per dire, Carved in the Bark e The Night Before the Wedding, Riff di chitarra squillanti, pomposi e ritmiche orecchiabili in Yes Man. L’inizio è allegro e divertente, a tratti velato di malinconia.

La seconda metà del disco è decisamente più interessante, partendo dalla struggente Rain Turns into Hail e l’accattivante parte strumentale di Kim the Dishwasher che accompagna i cori. Molto bella la title track che comincia con un arpeggio appoggiato da una batteria lievemente tumultuosa, per poi raggiungere un’atmosfera più corale. I dieci brani dell’album si concludono con una frivola The Richest Dumbass in the World e una piacevole Open Letter to an Alpine Marmot che mi risulta essere il brano migliore del disco.

Sito web: www.canadiansmusic.com

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Luca Paisiello
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