Sofsky
s/t
(Seahorse Recordings)
shoegaze, post-rock, new wave, dream-wave
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Fortemente influenzati dalla sensibilità shoegaze dei cosiddetti fissa-scarpe – sottogenere divenuto virale a cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 grazie al successo di realtà come My Bloody Valentine, Jesus And Mary Chain e Slowdive – gli svizzeri Sofsky mandano alle stampe il loro album d’esordio omonimo, edito per l’etichetta italiana Seahorse Recordings e anticipato dall’uscita dei singoli Sleepy Cat e Clusterphobia.
In questa prima esperienza discografica – che sfrutta l’interconnessione tra elettronica e rock come catalizzatore narrativo ed emotivo, pur non presentando alcun sussulto innovativo sotto l’aspetto dell’originalità – il quintetto shoegaze di Lugano mette in mostra un vestito scritturale cucito su suoni e atmosfere vintage dall’intenso impatto emozionale, rievocando un calligrafismo stilistico omologato a quella tensione spirituale, malinconica, riverberata e rarefatta di rimando Joy Division, The Sound, Slowdive, U2, Arab Strap e Pet Shop Boys.
Quasi a declamare una sorta d’istinto di sopravvivenza – nel tentativo di individuare vecchie stanze in cui rifugiarsi dalle moderne dinamiche interattive e destinazioni ignote verso cui rinascere, ricercando un conforto lenitivo nella quiete della notte e di un passato che è ancora più che presente – le sette tracce di questo primo take si muovono lungo coordinate oniriche e sinfoniche, passando attraverso corde epidermiche e paesaggi sonori evocativi – dalla luccicanza dei sentieri post-rock e shoegaze ai tessuti vellutati della moquette dreamwave, dove le pulsazioni decadenti e noir del sad-core si intersecano con amplificazioni ipnotiche, vocalità soffuse, ovattate, a tratti radioheadiane, e liriche piuttosto elementari.
Le tematiche di Sofsky si immergono nelle flessibili e maculate profondità dell’universo umano, tra oblio e memoria, facendo leva su una retrospettiva tanto intima quanto espansiva, adagiandosi su un genere di revivalismo delicato e al tempo stesso tormentato, che ha come fine che giustifica i mezzi quello di attenuare le ferite del giorno e le conseguenze sociopatiche causate dalla pandemia.
Mentre un flebile spiraglio di luce positiva sembra farsi largo tra le righe deformate e misteriche dell’attualità, il collettivo Sofsky riesce a trasmettere un senso di vuoto e smarrimento esistenziale, raccogliendo le affinità tra l’incessante e transitoria attività del tempo e l’irreparabile staticità dei sentimenti, oscillando in maniera indolente tra stati d’incertezza e un’illusoria prospettiva di risveglio.
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