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Reach: recensione di The Promise Of A Life 

Per festeggiare dieci anni di onorata carriera i Reach mettono fuori il loro nuovo disco dal titolo profetico The Promise Of A Life.

Reach

The Promise Of A Life

(Icons Creating Evil Art)

alternative-rock

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promise of a life recensionePer festeggiare dieci anni di onorata carriera i Reach mettono fuori il loro nuovo disco dal titolo profetico The Promise Of A Life.

Il trio scandinavo in questo lavoro unisce quella che è la pomposità dei Muse alle sonorità alternative, che tanto piacciono ai giovani d’oggi.

Alla fine dei conti quello che ne è venuto fuori è un album gradevole, composto da buone canzoni che, però, hanno la caratteristica di essere monocordi.

Tra spruzzate di elettronica (The Law), momenti elegiaci (l’opener New Frontier) e componenti ballabili (Higher Ground), questa fatica scorre via in modo semplice e senza sussulti di sorta.

Fa, invece, clamore la somiglianza della voce di Ludvig Turner con quella di Casey Mcpherson, cantante degli Alpha Rev, ma soprattutto dei Flying Colors, supergruppo prog metal capitanato da Mike Portnoy e Steve Morse.

In realtà, pur se i brani sono suonati in maniera ineccepibile, a volte risuonano ridondanti e con dei chiari e spiccicati riferimenti ai Muse, soprattutto per ciò che concerne la fase di arrangiamento.

Più interessante si fa il finale con il lento Cover My Traces, in cui la band cerca soluzioni diverse, quasi intimiste, che non annoiano.

Su The Streets si vira, invece, quasi verso un rock sinfonico con le tastiere in grande evidenza, mentre la title track, messa come ultima traccia, è un altro omaggio a Matthew Bellamy e soci.

In pratica The Promise Of A Life è un disco che farà piacere ai fan della band svedese, ma anche a chi è a corto di nuovo materiale dei Muse e dei Flying Colors. Se non ci credete, dategli uno ascolto e poi ci farete sapere.

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Francesco Brunale
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