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Zero Portrait: la recensione di Pulp EP

Pulp non è solo l’EP d’esordio di Zero Portrait, ma il manifesto dell’intento artistico di un musicista che bada alla sostanza, senza tralasciare la forma.

Zero Portrait

Pulp EP

(Antistandard Records)

elettronica, afrobeat

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zero_portrait_Pulp-Ep-1Dopo un’intensa attività da DJ e varie collaborazioni, Zero Portrait pubblica il suo primo EP, Pulp. Cinque tracce che coniugano passato e presente, nelle quali emerge la polpa, appunto, la sostanza di quello che è davvero la musica. Un mezzo diretto con il quale veicolare messaggi veri e reali, e affrontare anche quei temi che ci fanno paura.

Pulp è la sintesi di tutte le influenze dell’artista, di tutti i generi che sono girati sui piatti durante le sue serate nei club. Niente di commerciale, niente di scontato; adatto a molti, ma senza svilire od omologare i suoni. Suoni che affondano le radici nel passato, sia dal punto di vista culturale, che musicale. Ma che guardano al futuro per catturare quella generazione messa a nudo in questi pezzi.

Le contaminazioni afro e la tribalità di W.A.N.F.A (WeAreNotFriendsAnymore) scatenano ritmi ossessivi, che ritornano in Moroccan Sun, alla ricerca delle origini nel Mediterraneo e nel continente africano, culla delle civiltà. Fauna invece è il manifesto dell’intento artistico di Zero Portrait e di Agronomist, che ha scritto e canta la parte rap: parlare dei malesseri sociali e social facendoli diventare qualcosa di comune a tutti, e quindi di superabile.

In Gentrified kids, i breaks creano sincopazione, mentre il basso ‘wobble’ ripesca sonorità vecchia scuola. Per chiudere con lo sfogo finale di Babylon, il cui intento è dimenticare tutto senza perdere consapevolezza. E respirare i sound system giamaicani, la melodia filter-house di fine anni ’90 e i ritmi frenetici jungle.

Insomma, l’EP di Zero Portrait contiene in sé tutta l’urgenza e la verità di chi fa musica per rivendicare un senso di appartenenza. Di chi mischia influenze e generi diversi dando loro una connotazione precisa e personale. E soprattutto, di chi non dimentica la lezione del passato, ma anzi, dà alle giovani generazioni le lenti giuste per osservarla.

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Simona Fusetta
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