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The Winstons: Smith

I The Winstons tornano con Smith: un disco ispirato, dalle atmosfere vintage, cariche di psichedelia.

The Winstons

Smith

(Tarmac)

rock psichedelico

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reensione The Winstons- SmithSmith è il secondo album dei The Winstons. I tre fratelli Winston sono un trio formato da Enrico “Enro” Gabrielli, Roberto “Rob” Dell’Era (Afterhours) e Lino “Linnon” Gitto, musicisti di livello con innumerevoli esperienze alle spalle.

Una formazione batteria, basso e tastiere,  per ricreare uno stile progressive anni ‘70, fortemente psichedelico, ma per nulla datato.

Il nome del disco è un evidente rimando a Winston Smith, protagonista di 1984, il celebre romanzo distopico di George Orwell, che già aveva affascinato moltissimi artisti, da David Bowie, agli Eurythmics, dai Radiohead, ai Muse, da Vasco, fino ad arrivare a Salmo.

Il concept di 1984 ha probabilmente ispirato anche la copertina dell’album, sulla quale vediamo una parete di occhi, che ci fa subito pensare al Grande Fratello orwelliano, alle spalle di tre figure senza volto, che danno un senso d’angoscia, come un dipinto di Edvard Munch.

Tutt’altro che angoscianti sono invece le sonorità di questo disco, che spaziano da quello che definirei psychedelic beat, a momenti di puro rock anni Sessanta/Settanta, con un paio di parentesi etniche.

I Beatles riecheggiano in diverse tracce del disco: Around the Boat è una ballad dal sound alla Abbey Road, mentre Tamarind Smile/Apple Pie è un classico brano alla Wings, due pezzi in uno, in cui è possibile rintracciare la psichedelia dei Pink Floyd di Syd Barrett nella prima sezione e melodie alla Fab Four di I Am The Walrous nella seconda.

Se Dreamer era stata la Imagine di Ozzy Osbourne, A Man Happier Than You è la Imagine degli Winstons: meno malinconici del Principe delle Tenebre, meno speranzosi di John Lennon, i fratelli Winston ci suggeriscono di prendere gli eventi così come vengono.

Non solo Beatles in questo disco. La massiccia presenza delle tastiere ci rimanda ai Doors in più occasioni; Blind, una delle poche tracce in cui emerge il prog, sembra invece un brano cantato dal fratello meno depresso di Thom Yorke, mentre il ritornello di Impotence fa pensare ai Cream. Sintagma è, invece, un esperimento di multietnicità: testo in greco e musica brasileira.

Rocket Belt chiude il cerchio che si era aperto con Ghost Town, ritornando ad un bell’hard rock britannico. Sembra un pezzo dei Jet e infatti vanta la collaborazione proprio di Nic Cester.

Una chiusura col botto, quella di Smith.

Un disco davvero ispirato, gradevole, ammaliante, nostalgico, ma coi piedi ben saldi nel XXI Secolo, nel quale il mito del trio Winston si rafforza, diventando una realtà consolidata nel panorama alternative italiano.

 

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Chiara Profili
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