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Umberto Maria Giardini: Forma Mentis

Umberto Maria Giardini spiazza tutti con Forma Mentis, un disco rock pieno di chitarre elettriche e di stralci di luce che si fanno strada nell’oscurità di questo nuovo lavoro.

Umberto Maria Giardini

Forma Mentis

(Ala Bianca Records)

canzone d’autore, indie rock

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umberto-maria-giardini-forma-mentis-recensioneAnni fa un promoter discografico mi confidò che Moltheni aveva lavorato ad un disco elettrico dal titolo Forma Mentis, ma le cose presero altre direzioni per ragioni discografiche e relazionali con il mondo della critica, e più tardi il musicista marchigiano decise di uscire con una produzione diversa, altre canzoni, altro sound, altre emozioni da raccontare che hanno portato capolavori come Suprema o Vita Rubina. Di questo disco se ne parlava da anni e borbottai al promoter che sarebbe stato un peccato se quel lavoro non avesse mai visto la luce.

Oggi Umberto Maria Giardini pubblica finalmente Forma Mentis, album di 12 canzoni che non delude affatto le aspettative, ma di quel disco fantasma Umberto ha dichiarato di averne mantenuto solo il titolo.

Senza cambiare il suo inconfondibile stile, il musicista mette subito i brividi con La Tua Conchiglia, brano riflessivo che parte da un arpeggio elettrico sostenuto dalla voce eterea del cantautore, e si distorce a metà brano con un sound travolgente. Il livello si mantiene eccellente con Luce e il grido disperato di “qui, tutto intorno a noi, vorrei che mi circondasse la luce” su ridondanti note di un pianoforte sommesso, sovrastato dalla chitarra elettrica, dilungandosi dopo una pausa con una breve coda strumentale greve.

Il disco è denso di quell’oscurità che ha sempre contraddistinto i dischi di Umberto, un’oscurità onirica e non negativa, avvolgente e rasserenante come evocata nella pacata Tenebra, “scendi giù che al piano terra del mondo in molti ti attendono”. Oscurità che ama lasciarsi lacerare dalla luce, una Materia Nera che fa “capire la vita, perché è materia nera, pesante, leggera, un po’ clorofilliana, come una pianta che riceve acqua e non cresce mai”.

Nelle liriche suadenti e drammatiche di Di Fiori e di Burro si biasima il mondo dell’intrattenimento televisivo (“Guardaci noi poveri umani obbligati a digerire il rap, dominati dalle fighe altrui, lingue mosce cuciniamo in tv”) come quello digitale in Pronuncia Il Mio Nome (“la fine arriverà firmata Instagram mentre dormiamo”).

I testi criptici e poetici di Umberto Maria Giardini lasciano spazio all’introspezione, adagiati a tappeti sonori raffinati nelle sue parti più acustiche come Le Colpe dell’Adolescenza e in quelli più sonici quando si sbrigliano le chitarre, come nell’acida e stoner Argo. Personalmente mi sono sempre piaciuti tutti i suoi lavori, ma in tutta onestà non credevo potesse arrivare a far sguaiare il distorsore come nella strumentale Vortice.

Umberto Maria Giardini ci regala un disco elettrico, appassionante, avvolgente, introdotto dallo splendido singolo Pleiadi in Un Cielo Perfetto, un album che non si appoggia a strutture classiche con il ritornello che si ripete, e che ha il suo apice nell’ultima traccia psichedelica, Forma Mentis, dove partecipa Adriano Viterbini dei Bud Spencer Blues Explosion. Certo c’è il rammarico di rimanere ancora una volta a bocca asciutta per quel disco inedito, e mi monta dentro una curiosità bestiale, ma UMG non si è mai pentito delle sue scelte e ha sempre offerto una musica di grande qualità, sincera, capace di distinguersi e rilasciare sensazioni straordinarie.

 

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Luca Paisiello
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