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Vinegar Socks

Mettete insieme due persone che apparentemente non c'entrano niente l'una con l'altra, e avrete un connubio così omogeneo da non riuscire più a percepire le differenze. Avrete i Vinegar Socks, e il loro primo album

Vinegar Socks

Vinegar Socks

(Cd, Grinding Tapes Recording Company)

folk, indie

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Il detto “Gli opposti si attraggono” non è stato mai così vero come per i Vingear Socks, duo italo-americano formato da Paolo Petrocelli (violino) e Jordan De Maio (voce e chitarra). Perché leggendo le loro note biografiche salta immediatamente agli occhi (e all’ascolto anche all’orecchio) il grande talento di questi musicisti, così come le loro variegate – e diametralmente opposte – esperienze.

Nel loro omonimo album d’esordio, pubblicato ovviamente da un’etichetta di Boston (e sottolineo quell’ovviamente con una punta di ironia, che ancora mi chiedo come mai i gruppi italiani debbano per forza rivolgersi a case discografiche straniere per veder pubblicati i propri lavori), i Vinegar Socks danno vita a 12 pezzi animati soltanto da due strumenti, violino e chitarra, quest’ultima integrata – se non sostituita – dal mandolino, suonato dal terzo membro aggiunto della band, Patrizio Petrucci.

Una struttura compositiva apparentemente semplice è in realtà solo un pretesto: il punto di forza di questo duo sta infatti nel tentativo di elaborare il proprio stile musicale inserendolo in contesti diversi, il tutto con il semplice ausilio di due strumenti, evitando al contempo di ricadere in quel folk in cui starebbe stretto. Esempio calzante di questa mia ultima affermazione sono i classici pezzi lenti un po’ stereotipati, come Xylophone, che mi colpiscono decisamente meno (forse perché più scontati); trovo molto più d’impatto canzoni come Zeppo e Ashmites, dai ritmi gitani e dal forte appeal, dove la voce interpreta nel vero senso della parola il brano, giocando a volte con gli effetti, dando così al cantato uno spessore che va al di là del contenuto stesso. E’ il fantasma del Vinicio Capossela di Canzoni a manovella quello che aleggia nell’aria…

Al di là di questi exploit, il resto dell’album vira decisamente verso pezzi più folk, nello stile della tradizione nord-europea, ci regala un paio di pezzi strumentali (di cui uno vede anche la partecipazione di Marco Rossini al contrabbasso) e si chiude con un brano che torna a far sognare (Before the unreal), altro esempio di come questi due ragazzi sappiano dare il meglio quando sdoganano la loro musica regalandogli un’identità tutta nuova. Sperimentare, con un occhio al passato.

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