The Twinkles
We Come Along
(Rocketman Records)
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We Come Along è il terzo album dei The Twinkles, storica band di Treviso attiva dal 1998 e dedita, come da biografia, al più “puro punk 77”. Il punk è sinonimo di ribellione, simpatia per l’anarchia, e, dal punto di vista musicale, ritmi veloci, chitarre distorte e poca familiarità con la Top 10 dei brani più ascoltati.
Il punk rock è molto cambiato da allora, e il revival avviato da Green Day, Offspring e Blink 182 ha reso mainstream questo genere, cambiando anche le “regole del gioco”.
I Twinkles si sono adattati a questo, partendo dalla produzione: limpida e cristallina, che rende netta la distinzione degli strumenti, tra cui l’organo Hammond di Rancidiana memoria.
Tra le influenze compaiono anche Ramones e Undertones, veri “spettri” che aleggiano in tutto il disco e plasmano le scelte strutturali e vocali dei pezzi più scanzonati, anche grazie alla voce del leader Nick Mess, un mix tra Joey Ramones e Feargal Sharkey.
A sorpresa, il disco si apre con un brano strumentale, inusuale per questo genere. E in più, chi ha mai sentito un gruppo punk citare un mito della classica? Forse qualcuno, ma citarne ben due? Perché è questo che avviene in Ludwig The Punk, in cui viene arrangiato un estratto della Toccata e Fuga in re minore di Bach con la Quinta Sinfonia di Beethoven.
Dove finisce la Quinta di Beethoven con la sua drammaticità, inizia l’allegria della melodia della title track. We Come Along, Rich Girl, C’est La Vie sono brani spensierati e dai ritornelli di facile presa; No More Faith In You prosegue sulla scia dei sopracitati, aggiungendo un pizzico di energia senza però sconfinare in territori aggressivi.
Bubblegum girl, nuovo video-single, e Naughty Girl, godibili e ben suonate, sono ballad che ricordano i Beatles di Rubber Soul.
Con il suo incedere marziale e True Brat che la fa da padrone alla batteria, Time has come fa tirare il fiato, forse troppo vista la poca varietà offerta dal brano e il ritornello poco ispirato.
Ci pensa C’est La Vie a tirare su il morale con un piglio spensierato condito da un altro ritornello orecchiabile.
Fantasy is my mistress è il pezzo più particolare del disco, dalle atmosfere rock progressive anni 70, che contiene forse lo stacco strumentale più riuscito, che ricorda alla lontana i Deep Purple di Strange Kind Of Woman.
I don’t wanna wake no more all alone, da cui è stato tratto un video, chiude nel migliore dei modi l’album.
Il disco non è scevro da passi falsi, a cominciare da Ludwig the Punk: arrangiamento originale per un gruppo punk, ma usato da anni in contesti rock e metal. Inoltre, il contrasto tra la drammaticità e l’allegria della title track stride: forse il contrasto è voluto, ma fa sorgere qualche dubbio la scelta dell’intro rispetto all’atmosfera che si respira nel disco.
Un lavoro a tratti poco rock, con qualche scivolone: Rich Girl, Bubblegum girl e Naughty Girl sarebbero state più adatte in contesti più leggeri.
In generale We Come Along ha il grande pregio di lasciarsi ascoltare con facilità grazie a pezzi brevi, diretti e divertenti.