Slowdive
s/t
(Dead Ocean)
showgaze
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Quando avevamo visto un paio di anni fa gli Slowdive in giro per i festival abbiamo pensato: ecco la solita reunion che usa il circuito dei festival come bancomat, per fare un po’ di contanti subito e per dare nuova linfa alle vendite del catalogo. E anche le promesse della band, che lo dichiaravano come un nuovo inizio, non erano nuove a questo genere di operazioni, che generalmente si concludono con un nulla di fatto discografico.
E invece…
E invece gli Slowdive tempo ce ne hanno messo, ma eccoli qua con un album nuovo di zecca, Slowdive, che riprende le fila di Pygmalion (1995) e a cui avevo fatto un seguito un album rifiutato dall’etichetta e rimasto inedito.
Come suonano gli Slowdive del 2017? Esattamente come ci si aspetterebbe, riprendendosi lo scettro di paladini dello shoegaze / dream pop che ha tanto influenzato band che hanno raccolto un buon successo da ambi i lati dell’oceano negli ultimi anni, prendendo loro e i My Bloody Valentine come nomi tutelari.
Quello della band di Reading è un marchio di fabbrica tanto ammaliante quanto difficile da scrollarsi di dosso: ritmiche precise e minimali, intrecci di chitarre, feedback, prevalenza di voce maschile con intromissioni femminili, buone dosi di romanticismo, atmosfere dilatate, sussulti narcolettici e tanti sogni ad occhi aperti.
Davvero difficile resistergli.
E infatti non opponiamo alcuna resistenza e ci lasciamo felicemente trasportare nel viaggio di otto brani uno meglio dell’altro, seppure (come ormai accade da tempo alle band “storiche”) nessuno ha il piglio per assurgere al ruolo da singolo da airplay.
Sì, è vero: il pericolo operazione-nostalgia è dietro l’angolo (cfr Jesus & Mary Chain appena uscito), ma chi se ne frega. Noi ci godiamo questo ritorno e – anzi – siamo sicuri che quest’album raccoglierà proseliti anche tra le nuove generazioni.
P.S.: da buon audiofilo non posso non biasimare la scelta di una qualità audio abbastanza infima e un mixing palesemente pensato per l’edizione in vinile.
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