Palms
It’s midnight in Honolulu
(Cd, Rare Book Room, 2008)
electro-pop
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Ai Palms ci si accosta con diffidenza perché i Palms sono un gruppo anomalo.
Innanzitutto perché non si tratta di un vero e proprio gruppo, ma di un duo. E già qui ci sarebbe una sfilza di predecessori talmente illustri da mettere i brividi.
In secondo luogo perché non lavorano come gruppo ma come entità separate: It’s Midnight in Honolulu è stato concepito e realizzato senza che i due (Nadia Korinth e Ryan Schaefer) si incontrassero mai, lavorando l’una da Berlino e l’altro da New York.
Infine, ma non ultimo, perché è un gruppo che si richiama in modo evidente a un modello artistico di un’enormità tale quale i Velvet Underground, cosa che rende il gioco estremamente pericoloso.
C’è un particolare che fa vacillare le osservazioni di cui sopra: i Palms hanno talento. Talento da vendere.
Già ai primi, ossessivi, beat di Der koenig crolla mostruosamente l’impianto accusatorio di cui sopra: un gelido cantato si staglia sui cupi inserti strumentali di un brano tanto pop quanto ipnotico, che introduce perfettamente l’atmosfera di un album dalla fortissima potenza evocativa.
La matrice Velvet Underground si mostra candidamente nella successiva End of term, ascoltando la quale ci sembra di assistere a un duetto fra Nico e il Nick Cave più intimista. Matrice che i Palms rivendicheranno per tutto il corso dell’album, calcandola con prepotenza sulle melodie vocali di Agniezska e trasponendola nel suono no wave di Leather daddies, un brano che farebbe pensare a un aggiornamento del suono velvetiano. Se solo fosse possibile aggiornare una formula così fuori dal tempo.
Ma non abbiamo a che fare con una copia del celeberrimo banana-album. Perché, come s’è detto, i Palms hanno talento da vendere. E allora giocano anche con certo dream pop tipico di casa 4AD: quando innestandolo sull’incedere marziale di Das löwenfell, quando screziandolo di urla filtrate come in Monte Alban, quando abbandonandosi al minimalismo sintetico di New moon.
Per poi sorprendere ancora una volta con un brano furiosamente tribale e dal sapore postpunk come Hang your head.
Non basta? I Palms sanno anche riallacciarsi alla tradizione kraut-rock, corrodendola però con acide dissonanze techno (Boundary waters). E possono chiudere un disco con un brano per pianoforte e voce dai toni cupamente classicheggianti, che inquieta e commuove allo stesso tempo (Our home).
Valutazione finale? Piccolo capolavoro.
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