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Vinicio Capossela: Canzoni della Cupa

Sono passati più di dieci anni tra una registrazione e l’altra, il tempo per permettere ai rovi di ispessirsi e sviluppare radici più profonde, ma alla fine Vinicio Capossela ha vinto il suo demone e quelle Canzoni della Cupa più volte annunciate e già proposte, in parte, durante i concerti degli ultimi tour, danno oggi forma e sostanza al suo decimo (doppio) album da studio

Vinicio Capossela

Canzoni della Cupa

(La Cùpa/Warner Music)

pop, ballads, folk, canzone d’autore

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Vinicio Capossela
foto di Ivan Masciovecchio


Sono passati più di dieci anni tra una registrazione e l’altra, il tempo per permettere ai rovi di ispessirsi e sviluppare radici più profonde, ma alla fine Vinicio Capossela ha vinto il suo demone e quelle Canzoni della Cupa più volte annunciate e già proposte, in parte, durante i concerti degli ultimi tour, danno oggi forma e sostanza al suo decimo (doppio) album da studio.

capossela coppoloni
foto di Ivan Masciovecchio

Ventotto brani, quasi centoventi minuti di musica; un lavoro immenso, fuori formato – anche fisicamente, grazie ad un art work straordinario pensato come una sorta di preziosa mappa del tesoro nella quale, tra una serie di note esplicative, sono stati disseminati indici ed indizi sui musicisti, sulle creature e sui luoghi narrati –, presentato nei giorni scorsi alla stazione di Conza-Andretta-Cairano, tra i binari arruzzati e dimenticati della ferrovia Avellino-Rocchetta, sospesa al traffico di linea dal 2010.

Un bene pubblico simbolo di unione ed emancipazione, ma anche abbandono ed emigrazione, capace di segnare nel bene e nel male la vita di un’intera comunità. Un luogo avventuroso e mitologico, già teatro dello Sponz Fest, il festival ideato e diretto dallo stesso Capossela che in appena tre edizioni ha trasformato le bellissime ma poco conosciute terre dell’Alta Irpinia in una nuova destinazione turistico-culturale come mai nessuno in passato.

Sorvolando sul progetto greco Rebetiko Gymnastas, così come il precedente Marinai, Profeti e Balene era inzuppato di acqua e suggestioni (sotto)marine, allo stesso tempo Canzoni della Cupa è un’opera estratta dalla materia viva della cultura della terra e da quella che gli antropologi chiamerebbero civiltà contadina. Un viaggio socio musicale a cavallo tra mito e folclore, dove Capossela non si limita al racconto esclusivo del mondo rurale, mettendone in luce anche il rapporto col sacro, coi riti pagani, con le leggende popolari; in sostanza, con quella cultura millenaria sgretolatasi nel tempo sotto i colpi dei fenomeni migratori degli anni ’50 e’60.

Ad una parte luminosa ed arsa dal sole, dal vento e dal tempo del sudato lavoro denominata Polvere, se ne contrappone un’altra oscura e lunare, inquieta ed immersa nell’Ombra. La prima è cominciata a sedimentarsi nell’animo caposseliano nell’estate del 2003, ascoltando le cum-versazioni nella bottega del barbiere Giovanni Vicinanza detto il Veloce. Una sorta di ritrovo dove lasciarsi andare a sonetti, brindisi, versi in rima, cori e canti di paese, bevendo vino e cercando il ricreo. L’incontro e la frequentazione, in quello stesso periodo, con il grande cantore pugliese Matteo Salvatore, ha poi fatto il resto.

Assorbito come una spugna questo patrimonio orale di storie epiche e leggendarie e rielaborato musicalmente grazie anche al coinvolgimento di artisti internazionali come Flaco Jimenez, Calexico, Howe Gelb, Los Mariachi Mezcal e Los Lobos, oltre ad alcuni interpreti della migliore musica popolare italiana, come Giovanna Marini, Enza Pagliara, Antonio Infantino, senza dimenticare la gloriosa Banda della Posta, ecco risuonare dunque il blues agreste di Femmine, la fiesta y feria latina de La Padrona Mia, la ballata provenzale de L’Acqua Chiara Alla Fontana, la classica Zompa La Rondinella, registrata come un vecchio pezzo di Johnny Cash per un film dei fratelli Coen; oppure ancora l’aria di frontiera tex-mex di Franceschina La Calitrana, il sonetto di ingiuria Faccia Di Corno, la crepuscolare e intensa La Notte è Bella Da Soli che chiude la parte luminosa e festante prima della discesa negli abissi del sentiero della Cupa.

Registrati undici anni dopo quell’estate 2003, i brani della parte ombrosa pullulano di soggetti antropologici le cui storie sono state partorite dalla fervida fantasia caposseliana, come La Bestia Nel Grano, ispirata al mondo della mietitura; L’Angelo Della Luce, legata al culto di S. Michele Arcangelo; Componidori, maschera della giostra della Sartiglia di Oristano; fino a Il Pumminale, sorta di lupo mannaro che prende corpo la notte di Natale. Musicalmente poco addomesticabile, come gran parte de Le Creature Della Cupa che non si possono né vedere né toccare, il lato oscuro del disco recupera uno squarcio di luce con Lo Sposalizio di Maloservizio, grazie ad un gemellaggio balcanico-postale che idealmente catapulta l’ascoltatore fin dentro Al Veglione di venti anni fa. Chiusura di cadenzata intensità con Il Treno, quello che un giorno si è portato via tutti i cristiani ed i loro sogni, anche quelli di papà Vito che a soli diciassette anni salì in carrozza con in mano solo una scanata rotonda di pane che tutta se l’è abbracciata e per una settimana se l’è mangiata.

Potendole e volendole scindere, nel complesso Polvere risulta sicuramente la parte più accessibile e conciliante all’orecchio, permeata da echi western e musicalità diffusa, mentre l’omogeneità di fondo che prevale in Ombra non induce ad un sonoro abbraccio. Ma come scrive lo stesso Vinicio, queste Canzoni della Cupa rappresentano un dualismo che compone un’unità immobile, ferma in un tempo circolare, che si ripete in eterno, come il tempo della terra e delle stagioni. Due facce di una stessa preziosa medaglia che ancora una volta Capossela ha forgiato con pazienza ed abilità artigiana, guidato dalla grazia di un cuore generoso che navigando negli anni dall’altra parte dell’America fin sulle sponde del Pireo, solcando mari tempestosi abitati da profeti e balene, lo ha (ri)condotto finalmente a casa, tra i vicoli ventosi del paese dei coppoloni. Nella terra polverosa in cui affondano le radici di questi canti di vita e di morte nati all’ombra delle nostre inquietudini.

capossela coppoloni
foto di Ivan Masciovecchio
vinicio capoosela
foto di Ivan Masciovecchio

 

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