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Niente: Mete

Ecco il secondo album di Niente, al secolo Mirko Paggetti. Il titolo, Mete, racchiude il senso dell’intero lavoro e l’esperienza underground consumata nella sua amata Romagna

Niente

Mete

(La Fame Dischi)

pop

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[youtube id=”GG08bKbZFpw”]

niente-mete-recensioneNiente è il nome d’arte scelto da Mirko Paggetti, trentunenne romagnolo al suo secondo disco da solista. Mete, questo il titolo, segue di due anni E Pensare Che Tutto Scorre.

La prima cosa che mi colpisce è l’assoluta linearità: tutto è esattamente ciò che sembra. A partire dal nome d’arte che è Niente proprio perché vuol rappresentare l’ignoto non significando niente, fino ad arrivare al titolo che è Mete proprio perché vuol riassumere in sé i temi portanti del disco che sono gli obiettivi, i sogni e i fallimenti.

Quando ho premuto play ed è partito il primo brano, Quando Sarai Niente, che poi è anche il singolo di lancio, solo un breve arpeggio e pronti via “Con il vestito da sposa scucito, mi dicesti che un’apparenssa in declino non fermerà il nostro futuro”.

La zeta strascicata tipica della pronuncia di Vasco Rossi, Luca Carboni, Gaetano Curreri e molti altri mi ha instillato il dubbio che le citazioni che ho scelto risultano calssanti ma forse non del tutto collidenti a quel campanilismo accentuato che divide l’Emilia e la Romagna in una geografia a me ignota.

L’intro di batteria e basso di Tra Un Ma E Un Se mi fa venire voglia di andare a scoprire i musicisti in formazione: Mauro Casadei (batteria), Federico Valgiusti (chitarra) e Nicolas Nanni (basso).

Fin qui il disco suona bene, è garbato –forse anche troppo- ma ha il difetto di essere un tantino monocorde.

La title-track, che arriva proprio a metà, introduce la variazione del piano (featuring Giacomo Toni) e di un chorus che trascende in un vagolare quasi angelico.

La chitarra di Resistere A Luglio è il circoletto rosso che Bisteccone Galeazzi avrebbe messo a questo lavoro che ha il pregio di proporre e conservare sempre la sua malinconia ma lo fa senza mai lasciarsi andare, neanche quando l’incedere diventa più aggressivo come nel pezzo di chiusura Il Dopo.

Al termine dell’ascolto rimane una sensazione di leggerezza, degna ascendente di suoni pacati e partiture educate.

Si poteva osare di più, ma scegliere di non fare rumore in mezzo a un mare di rumore merita comunque appressamento.

 

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