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Elliot Minor: Solaris

L'ultima fatica degli Elliot Minor: tra chitarre e suoni orchestrali, riuscirà questo nuovo ambivalente album a far pendere l'ago della bilancia a loro favore?

Elliot Minor

Solaris

(Cd, Repossession Records/Dreamusic)

pop rock,  symphonic rock, emo

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Chi non conosce band che a dispetto delle aspre critiche riescono a guadagnarsi un consenso tra il pubblico del tutto contrastante con quanto ci si aspetterebbe? Originari di York, gli Elliot Minor sono un giovane gruppo che incarna alla perfezione questo prototipo, non tanto per l’essere soggetti a una divergenza d’opinioni tra stampa e ascoltatori, quanto per l’impatto visivo e sonoro piuttosto ambiguo.

Troppo facile affibbiare loro l’etichetta (o una sorta di lettera scarlatta ormai?) di “emo”, che un approccio superficiale potrebbe suggerire. Allo stesso tempo troppo pretenzioso definirli come un nuovo esempio di eclettismo. Troppo improbabile giudicarli come fenomeno limpido e autentico; ma sarebbe ugualmente capzioso volervi scorgere a tutti i costi l’invadente zampino di un’abile casa discografica, dal momento che i suddetti non godono poi di così grande visibilità.

Al di là di tutto ciò, quello che non si può negare al quintetto è una dedizione alla musica e un buon livello di preparazione, che si manifesta nell’organicità delle composizioni. Le sonorità spaziano dal pop al rock con accenni classici ed elettronici, riscontrabili lungo tutte le tracce del loro ultimo album Solaris.

Secondo album per gli Elliot Minor, esso non difetta affatto dal punto di vista strutturale: arrangiamenti ben curati, buona alternanza delle diverse parti strumentali, tipici ritornelli orecchiabili. E’ proprio in questo che però emerge tale ambiguità: l’orecchiabilità può scadere nella banalità e la facilità della memorizzazione rivela in realtà un contenuto non ugualmente incisivo.

Inoltre la varietà delle influenze fa sì che i vari pezzi siano qua e là disseminati di assoli di chitarra, accenni pianistici e d’archi, come in I Believe o All Long, oppure di tecniche elettroniche particolari, ad esempio in Carry On: da questo punto di vista si può scorgere un tentativo di introdurre elementi di rottura rispetto ad un’impostazione “commerciale” che tuttavia rimane preminente; basti pensare al primo singolo estratto Electric High oppure Discover (Why The Love Hurts).

Basilarmente infatti la struttura delle canzoni si adatta con molta più naturalezza ad un pop-rock di facile assimilazione che ad una composizione con elementi orchestrali. Di nuovo un’arma a doppio taglio dunque: la volontà di creare un’originale commistione si scontra con una conciliabilità non sempre facile, che ha come risultato a tratti un po’ spigoloso.

Per quanto riguardo la linea vocale, essa si inserisce nella scia di gruppi come Panic At The Disco, Simple Plan e Fall Out Boy, dei quali gli stessi Elliot Minor risentono l’influenza; impostazione vocale tutt’altro che piatta, ma alle lunghe stancante e un po’ indigesta.

Tanti pro e tanti contro dunque, ma in fondo è proprio attraverso questo meccanismo di contrasto che il mercato musicale decreta le sorti più o meno fortunate dei musicisti in balia delle correnti disorientanti e apparentemente inconciliabili di pubblico e critica.

Lasciamo che sia il tempo a svelare le sorti degli Elliot Minor, evidentemente non ancora giunti a maturazione, ma che con Solaris hanno sicuramente piantato un seme: la raccolta, buona o cattiva che sia, è ancora tutta da vedere.

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Delia Bevilacqua
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