AdBlock Detected

Stai usando un'estensione per bloccare la pubblicità.

RockShock.it dal 2002 pubblica contenuti gratuitamente e ha la pubblicità come unica fonte di sostentamento. Disabilità il tuo ad block per continuare.

Scisma: recensione concerto Roma, Monk Club, 24 ottobre 2015

L'ultima data del mini-tour che ha sancito la reunion degli Scisma, una delle band cardine della scena alternativa italiana. Un concerto intenso ed emozionante che conferma l'assoluta maestria di Benvegnù e soci a dispetto degli anni che passano

Scisma

Roma, Monk Club, 24 ottobre 2015

live report

_______________

recensione-concerto-scisma-24-ottobre

Quando dalla stazione di Tiburtina mi incammino verso il Collatino è tarda mattinata. Ho trovato una stanza in un affittacamere a poche centinaia di metri dal locale ed il caldo della capitale colpisce forte ed inaspettato. Poche ore dopo la temperatura si abbasserà notevolmente, così la strada che percorro la sera per raggiungere il Monk Club è l’occasione per riflettere su cosa aspettarmi dall’ultimo concerto di questo mini-tour degli Scisma, messo in piedi per la loro (pare) fugace reunion.

Una serie di considerazioni a riguardo le ho già espresse parlando del EP che ha sancito il ritorno dell’ensemble lombardo, ma la vera paura è che questo ritorno non si riduca a null’altro che ad un riflesso di ciò che sarebbe potuto essere e non è stato. Ciò che rende tale la mitologia della musica è la distanza che separa l’essere dall’immaginario che esso stesso irradia. La paura è che qualcosa, qualcuno, possa screpolare l’idea, il ricordo, l’immagine di una band che era ormai fissata nell’ambra come i cimeli più rari e preziosi.

Il Monk Club è composto da una serie di strutture che assurgono a funzioni diverse e ruotano intorno ad una piazzetta piena di tavolini e sedie. Nella bella sala concerti le luci sono fioche e le pareti di mattoni rossi danno un senso di calore che stempera l’aria pungente dell’esterno. Fuori la gente bivacca, ma dentro, per il momento, siamo in pochi. Quando sul palco sale Fabio Cinti, che ha l’ingrato compito di offrirsi in pasto a fan che bramano da 15 anni il ritorno del loro gruppo preferito, l’atmosfera inizia a surriscaldarsi. Il cantautore tiene banco per una ventina di minuti, proponendo brani tratti dal suo disco di prossima uscita prodotto da Paolo Benvegnù, e quando lascia la scena dentro alla sala il caldo inizia a sentirsi.

Un messaggio registrato invita tutti a godersi lo spettacolo lasciando in tasca telefoni e smartphone vari: sarà accolto da molti ma non da tutti. L’aula si è riempita ed è il momento che i protagonisti della serata salgano in cattedra accolti da un boato. Paolo, con in testa una luce da minatore, fa strada mentre tutti gli altri lo seguono a ruota sulle assi del palcoscenico. La vista di Sara Mazo, bellissima ed elegante come non mai, sarà un tuffo al cuore per molti ed i suoi occhi grandi, spalancati sul pubblico, fieri e fragili allo stesso tempo, che sostengono lo sguardo di ognuno degli astanti in piedi nelle prime file, saranno l’immagine che di più rimarrà impressa di questa serata.

L’inizio è affidato a Good Morning: il brano che chiudeva Armstrong; è il ponte perfetto per attraversare con un solo balzo i quindici anni trascorsi, infatti subito dopo si fa strada l’arpeggio sul tremolo di Mr. Newman, il primo brano, nonché title-track del nuovissimo EP, per chiudere il cerchio. Gli astanti sono quasi increduli, probabilmente in molti ancora non hanno realizzato a pieno, non si rendono ancora conto di ciò di cui stanno per fare esperienza, reagiscono poco e freddamente fino a qui. Se non fosse che Metafisici (dal vivo molto più coinvolgente che su disco) e Giuseppe Pierri (che sembrano quasi lo stesso brano, in quanto a melodia, se non fosse per l’arrangiamento più nervoso del secondo) scuotono la sala con un Paolo Benvegnù che, sul finale del brano tratto da Armstrong, urla nei pickup della sua Fender Stratocaster rossa con un impeto quasi punk.

Ora l’atmosfera è finalmente quella giusta per sfoderare la prima perla: Troppo Poco Intelligente fa saltare e cantare in coro letteralmente tutti quanti. Sarà anche un po’ merito del fatto che Paolo in tutti questi anni l’ha portata con se, rimaneggiandola e facendola amare a molti. È qui che Giorgia Poli si libera dell’ingessatura iniziale ed inizia ad ondeggiare ed a dare il meglio di sé: sarà una rivelazione, una musicista di un carisma inaspettato oltre che capace di una tecnica perentoria ed un gusto musicale sublime. Il singalong continua con L’Innocenza, nenia emblematica che condensa con dolcezza molti dei tratti caratteristici che identificano la band. Poi è il turno del primo (inutile negarlo) dei due pezzi più attesi del lotto: Tungsteno dà vita al putiferio con tanto di un accenno di pogo improvvisato (che si spegne subito). Questa la gente “la sa tutta”, come si suol dire, e la canta fino alla fine.

Qualcuno chiede ad alta voce “facci l’indaco” riferendosi a Negligenza che però non verrà eseguita (peccato) in favore dei Musica Elementare che pure viene apprezzata e canticchiata, forte di aver rappresentato il primo estratto del nuovo lavoro. In effetti quel difetto di adrenalina che penalizzava il brano sul disco ora sembra perfettamente risolto.

Uno dei momenti più emozionanti è quello in cui Sara Mazo sembra impietrita e visibilmente provata durante l’esecuzione di È Stupido, brano evidentemente molto sentito. È talmente forte il suo carisma che riesce a trasmettere il suo disagio anche a gli spettatori ammutoliti, senza dire una parola. Rompe l’incantesimo riportandoci ad atmosfere sognanti ed ipnotiche con Centro fino al funky di Darling Darling, brano denso di un sottotesto che critica la società fatua e disimpegnata dei nostri tempi: le tematiche sono un po’ quelle di Tungsteno ed un po’ quelle di Troppo Poco Intelligente fuse insieme. Poi Benvegnù finalmente si lascia andare alla sua istrionica carica comica cimentandosi in un classico del suo repertorio: le iperboli nonsense. Ironia sottile, romanesco stentato, Gigi Proietti ed il capitano Kirk introducono l’ultimo brano del primo set: Stelle Stelle Stelle, anche dal vivo, è una ballata dolce e malinconica che accompagna dietro le quinte i sei musicisti.

Neppure il tempo di bere un sorso d’acqua che già c’è chi urla a gran voce per farli tornare sul palco. Quando lo fanno il primo dei due encore inizia col botto: Jetsons High Speed è uno dei brani più amati dai fan più accaniti, con la sua batteria tribale ed il suo testo tanto semplice quanto catartico. Neve E Resina conclude il giro di estratti dal EP uscito poche settimane prima e ci traghetta verso il finale del secondo blocco. L’Equilibrio è l’ennesimo singalong, canzone perfetta ed emozionante, oscurata solo da quello che è forse il brano più atteso della serata: Rosemary Plexiglass cantata parola per parola a squarciagola da ogni singola persona nella sala. Con l’ovazione della sala nelle orecchie i lombardi tornano dietro le tende per pochi minuti.

Quando escono per la terza volta sul proscenio è per il commiato definitivo, una amalgama di melancolia che unisce Simmetrie e L’Universo lasciando l’amaro in bocca ed il groppo in gola. È già finito? Ci lasciate così? Andate via di già? Poche parole, qualche lacrima trattenuta a stento, un saluto ad un amico andatosene via, vorrebbero dire tanto altro gli Scisma, ma non lo fanno. Vorremmo urlare chissà cosa, noi, da sotto al palco, ma restiamo in silenzio mentre battiamo le mani. E’ stato breve ma intenso. È stato dolce ma col retrogusto amaro. Ha avuto il sapore delle lunghe attese per poi sciogliersi come un gelato alla vaniglia sotto al sole d’agosto. Lo sapevamo tutti che sarebbe finita così, a chiederci “perché?” mentre lasciamo la sala.

Perché questi Scisma ancora oggi sono una band come se ne vedono poche, con una alchimia ed una comunicatività da fare invidia a molti. Sono stati per una volta ancora una band coesa, compatta, sincronica. Impatto sonoro notevole ed un repertorio che sembra non aver perso nulla dello smalto iniziale nonostante gli anni. Gli Scisma sono ancora oggi la testimonianza di un’epoca in cui il rock alternativo italiano ha saputo dare il meglio di se. L’influenza di quegli anni, di quegli artisti, ce la portiamo addosso oggi più che mai e forse più di quanto non sia successo in tutta la storia della musica italiana, fatta eccezione (forse) solo per Battisti e Mogol.

Tanti degli artisti che hanno raggiunto il successo in quegli anni sono ancora oggi dei riferimenti imprescindibili e macinano dischi, consensi, tour trionfali. Altri sono andati via in sordina, con l’eleganza e la mestizia di chi si è sempre sentito un outsider, ché negli outsider ha sempre trovato i suoi più accorati sostenitori. Gli Scisma salutano tutti senza alcuna eclatanza per l’ennesima volta. Eroi normali di un mondo sempre sopra le righe. Li ritroveremo poco dopo a bere un drink al bar del club, parlare con la gente, ridere e scherzare come vecchi amici che non vedevamo da anni. Giusto il tempo di un bicchiere prima che vadano via di nuovo per la loro strada.

Scisma-recensione-concerto-roma-monk

Gli ultimi articoli di Antonio Serra

Condivi sui social network:
Antonio Serra
Antonio Serra
Articoli: 60