John Dallas
Wild Life
(Street Symphonies Records)
rock
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John Dallas, al secolo Luca Stanziani, è un giovane rocker nostrano che prima di Wild Life per parecchi anni ha gravitato nella scena underground bolognese, anche se le sue band precedenti non hanno mai decollato per via di line up in tensione e possibili pubblicazioni rimandate. C’è chi dopo tanti anni molla per le troppe porte sbattute in faccia nonostante il talento, o chi continua a battersela bene anche con figli a carico.
John Dallas fa parte di quest’ultima categoria, anche se non ha ancora figli ma l’età giusta per credere nel successo, e grazie a tutto questo bagaglio di esperienze, concerti, qualche demo e tanta passione dopo un periodo fermo ha voluto fortemente incidere finalmente un disco, questa volta tutto a suo nome. Le influenze dei pezzi che ci sono stati proposti sono piuttosto riconoscibili in Bon Jovi, Skid Row, Dokken e gli ultimi fenomeni della musica scandinava, i famigerati H.E.A.T.
Con questo monicker Luca ha iniziato la sua carriera solista regalando un buon disco tirato con nove pezzi belli carichi di brevi riff e melodie rocciose. Partiamo dalla voce, un timbro adatto per questo genere che non sarà all’altezza del vecchio Axl o del compianto Steve Lee, ma se la cava mica male nel corso delle sue composizioni. La struttura delle canzoni non è complicata, il giusto strofa ritornello strofa e tanta batteria che scheggia le bacchette. Gli assoli ahimé sono la cosa che più mi mancano quando ascolto nuove leve, qui vengono lasciati volutamente da parte per offrire un ascolto rapido, tutto d’un fiato, senza fronzoli. Ma io li voglio!
Chiaro che qualche “richiamo” per qualcuno che si è sempre immerso nell’hard rock si avverte senza indugi. Si va forse ad omaggiare le band che hanno fatto la storia di questo genere, come l’intro di Falling che ha ricordato Breakin’ Down degli Skid, ma la canzone di Dallas sta su con le proprie gambe, con un bel ritornello e tanta carica Electric. La title track è un brano davvero trascinante, di quelli che fai fatica a toglierteli dalla testa, con quel “baby you said call it wild life – call it wild life”.
Le liriche a partire da Under Control tendono a giustificare tutta quella rabbia repressa, il lasciarsi alle spalle i brutti momenti, dolersi per qualche amore folle ed incompreso, il classico sporco e dolciastro suono dell’hard rock a tirare le fila. Difatti in un album rock che si rispetti, non può mancare una bella ballata, Freedom, molto Mr Big oriented e il classico sospiro da rocker che se la gode.
Wild Life conclude la sua corsa picchiando sulle note oscure di Love’s Fake e se nel prossimo album avremo una seconda chitarra, qualche arrangiamento e assoli magari un po’ più lunghi di un 4 battute… non oso dire che avremo il nostro Bon Jovi ma il ragazzo saprà farsi sentire meglio.
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