The Residents
Roma, Circolo degli Artisti, 13 novembre 2008
live report
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Gli “sonosciuti” Residents si sono presentati nella maniera (a loro) più congeniale: non un palco “classico” (quello dell’allestimento), tanto meno strumentazioni tipiche di una rock band. In uno spazio relativamente stretto come quello del palco del Circolo degli Artisti – difficile da gestire nel caso di esibizioni “esuberanti” -, sono riusciti a metter su uno spettacolo multimediale in cui musica, teatro e video-installazioni si sono avvicendati quasi a rotazione nella rappresentazione audio-visiva del loro ultimo album, The Bunny Boy.
Al posto degli enormi bulbi oculari, però, questa volta i Residents hanno indossato delle maschere da coniglio, tanto da risultare un po’ meno inquietanti rispetto ad altre loro esibizioni: semmai eccentrici e pur sempre grotteschi – soprattutto ironici.
Lo spettacolo, una sorta di musical (o vaudeville) con tanto di art performance, è stato gestito dall’istrionismo di un attore barbuto (“The Bunny Boy”: il suo vero nome rimane per me un mistero), bravo nello spaziare magistralmente fra monologhi deliranti – tutti costruiti sulla storia relativa a Postcards from Patmos, una serie di DVD mai pubblicati riguardanti un’oscura ricerca – ed esibizioni canore accompagnate dal dadaismo musicale della band, forse un po’ meno sghembo rispetto al passato, nonché caratterizzato da una ridotta sperimentazione – secondo molti, proprio per questo motivo la band sarebbe calata negli ultimi anni, poiché la ricerca sonora avrebbe ceduto il passo all’appiattimento relativo alla fase compositiva -, quasi a voler rendere “accessibile”, una volta per tutte, il loro stile dissacratorio, e a volerlo inserire in contesti sempre più popular – ma non per questo scontati o semplicemente banali.
Tra l’altro bisogna riconoscere all’attore-cantante una grande varietà pure nel registro vocale, abile volta per volta a spaziare da Gilmour al Waits più alcolico, anche in questo caso senza tentennamenti o inadeguatezze di sorta. E così lo si poteva veder entrare e uscire da una finta porta, sbattersi da una parte all’altra del palco, oppure incurvarsi in una sorta di gazebo semisferico sottostante ad un enorme monitor: tutti oggetti allestiti secondo uno spirito di economizzazione estrema dello spazio, garantita anche dall’auto-reclusione della band nell’angolo sinistro del palco (dal punto di vista del pubblico), quasi ammassata sulle chitarre, le tastiere, il rullante e il timpano (la batteria non era al completo, forse volutamente, forse per risparmiare metri cubici di palco; chissà…).
Ad ogni modo lo show ha segnato un passo ulteriore in quella che è la filosofia dei Residents su come suonare dal vivo, questa volta dando priorità assoluta all’aspetto audio-visivo della performance artistica, sia da considerarsi questa maggiormente imparentata col teatro che con l’immagine elettronica. Ed è un percorso cominciato già nel ’76, quando i nostri realizzarono dei video per The Third Reich’n Roll, sviluppatosi poi sempre di più attraverso la commistione di forme artistiche eterogenee. E mai come ora sono realmente sempre più vicini alla “musica totale”.
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