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Mahogany Frog: Do5

Per gli increduli, Do5 offre un’ottima possibilità all’apertura del progressive rock, delineando nuove modalità espressive per chi vuole accostarsi diversamente al genere

Mahogany Frog

Do5

(Cd, Moonjune Records, 2008)

progressive rock, post-rock

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Quando il prog tenta di superare se stesso – in un certo senso – allora diventa comprensibile parlarne ancor oggi: purtroppo, però, ciò che spesso si ascolta non è nient’altro che “band fotocopia”, in cui la libertà creativa cede il posto all’esecuzione sciatta di motivi sentiti e risentiti troppe volte. Non è questo il caso dei Mahogany Frog, fortunatamente, band canadese che con Do5 giunge al quinto album pubblicato.

In effetti colpisce moltissimo la ricerca sonora condotta dal gruppo, il quale ci mostra palesemente la volontà di oltrepassare quei confini troppo ben definiti che caratterizzano il progressive in ogni suo ambito: si possono avvertire influenze post-rock, psichedeliche, come anche noise ed elettroniche, tutte sempre ben costruite all’interno di strutture classiche, siano queste sullo stile di band come i Soft Machine – per quanto riguarda Canterbury -, che dei Tortoise e Stereolab – prendendo in considerazione esempi più recenti.

Basta ascoltare T-tigers et toaster, in cui il prog, il post-rock e il noise trovano spazio pari merito, in compagnia dell’ambient e di sonorità più acid e dilatate. Oppure l’epica di Last stand at fisher farm , brano che unisce trombe a motivi in perfetto stile Morricone. In Lady Xok et shield Jaguar, invece, avviene un’elegante sintesi fra chitarra jazz e scie di feedback a metà strada fra lo shoegaze e la neo-psichedelia.

Certo, forse l’unica pecca è la pomposità nell’uso delle tastiere o negli arrangiamenti relativi a certi passaggi più scontatamente fedeli al passato, ma in generale la sperimentazione e il coraggio offrono maggiori possibilità a Do5, che ad ogni modo resta esemplare come tentativo di forzare le barriere di genere più consolidate, aprendo nuovi orizzonti all’unione di stili apparentemente troppo distanti fra di loro.

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Angelo Damiano Delliponti
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