Primavera Sound Festival 2015
Barcellona, Parc del Forum, 28 – 30 maggio 2015
live report
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Proprio devo spiegare cos’è il Primavera Sound Festival di Barcellona? Da 15 anni, lo sanno anche i sassi, è il più importante festival europeo (e probabilmente del mondo) per gli appassionati di musica indie.
Il Primavera Sound Festival è una bolla
L’esperienza-festival è una bolla che racchiude tutto e tutti. 3-4 giorni in cui conta solo la Musica, in cui ci si muove, ci si sposta (e per il Primavera Sound sono richieste ottime gambe!) in nome e per la Musica.
Si trascorre il viaggio facendo gli ultimi aggiustamenti di tiro per limitare al minimo il dolore delle inevitabili sovrapposizioni di programma, si va al festival, si ascolta musica per 12 ore consecutive al giorno, si conoscono persone nuove con cui si parla di Musica, si va a dormire all’alba, si continua solo e soltanto a parlare di Musica e si ricomincia.
Ma questa bolla, questo stato di benessere in cui tutto il resto del mondo resta fuori, a volte si rompe e la Vita Reale, quella fatta dei problemi grandi e piccoli di tutti i giorni, reclama la sua attenzione, rompe la bolla e prova a far svanire tutto in un lampo.
È quello che è successo a me, costretto nella giornata del 29 maggio a fare Barcellona – Roma andata e ritorno, mettere a posto i casini della Vita e tornare nella magica atmosfera che solo un festival come il Primavera Sound riesce a regalare (perdendomi qualche concerto, ma recuperando con rinnovata energia spettacoli che in altri casi sarebbero stati sacrificati in nome del sonno e della stanchezza).
New York e gli USA
Vicissitudini personali a parte, veniamo alla musica. Al Primavera Sound 2015 New York era rappresentata in grande stile. Dai redivivi The Strokes, in primo luogo.
Attesissimi e annunciati con largo anticipo sul resto del cartellone, hanno dosato le loto hits d’annata con parsimonia, inframezzate da pezzi “ordinari”. Julian Casablancas è apparso alquanto imbolsito e con un’acconciatura di capelli degna di un giocoliere impegnato ai semafori di una città a chiedere l’elemosina in cambio di pochi attimi di spettacolo. Albert Hammond Jr è sembrato più a suo agio nel suo progetto solista che non con gli Strokes, che si sono mostrati come degli svogliati mestieranti.
Sempre da New York arrivano gli Interpol, più amati in Europa che a casa propria e freschi della pubblicazione del nuovo El Pintor, le cui canzoni sono servite in pratica da riempitivo fra quelle snocciolate dal primo album.
Il confronto è impietoso e imbarazzante, ma il loro concerto è comunque preciso, ben suonato, godibile, con visual suggestivi e giusto un po’ prevedibile. Questa band dovrà trovare il coraggio di auto-definirsi un po’ meglio tra lo status di band di culto presa dal revival anni ’80 o di indie band degli anni ’10, caso in cui un radicale rinnovamento è a questo punto obbligatorio.
Il discorso non cambia con i DIIV, oggetto di un dentro-e-fuori dal programma che ha lasciato col fiato sospeso i fan della giovanissima band della Grande Mela.
Sky Ferrera è malamente nascosta sul fondo del palco, in adorazione del suo compagno di vita Zachary Cole Smith, inspiegabilmente oggetto delle attenzioni sessuali di tante donzelle.
Sul palco alternano vecchi successi a canzoni dell’imminente nuovo album. Le nuove canzoni dimostrano come il salto verso i Cure era Pornography è ormai definitivo e i DIIV si dimostrano ancora una volta come una band tanto carina quanto priva di personalità.
Campagnoli dell’Ohio, i Black Keys sono state una delle grandi delusioni del festival, sia per gli organizzatori sia per il pubblico.
Per gli organizzatori in quanto si aspettavano che trainassero una buona dose di entrate giornaliere (cosa invece puntualmente avvenuta per il sabato, con la terna Strokes-Interpol-Underworld).
Funestati da più di un problema tecnico, fatti esibire nel Primavera (uno dei due main stage e che si rivelerà alquanto fragile dal punto di vista dell’impianto audio), il rock-blues dei Black Keys riesce decisamente meglio in un club che davanti a 40.000 persone, ma nella seconda parte del concerto i ritmi si fanno più tirati e il pubblico ha di che divertirsi.
Originaria di Chicago ma newyorkese d’adozione, Patti Smith presenta due spettacoli, uno per le “masse”, con la riproposizione di Horses, e uno all’Auditorium, uno spoken word che si trasforma in un greatest hits acustico. Ci raccontano che nel tentativo di omaggiare i defunti, intona e interrompe Perfect Day di Lou Reed per ben tre volte: non ricordava le parole!
L’elettronica
Sarà perché gli organizzatori del Primavera Sound nascono professionalmente come promoter di serate elettroniche nella Barcellona degli anni ’90, ma anche quest’anno c’è stato un profluvio di bit & beats al Primavera Sound.
Tantissimi i nomi in programma pronti a far ballare i 175.000 accorsi da tutta Europa (un po’ meno dello scorso anno), fra questi i redivivi Underworld, seppure con un pezzo in meno in formazione e protagonisti di un vero e proprio party a cielo aperto per festeggiare il ventennale di Dubobasswithmyheadman: light-show mostruoso e un finale con una nuova versione mozzafiato dell’inno-planetario Born Slippy, che fa urlare al cielo la sterminata platea il grido liberatorio Lager, lager, lager (davanti al palco Heineken!).
Probabilmente in futuro meriterà uno spazio più ampio lo stage della Bowers & Wilkins, ditta leader mondiale nella produzione di diffusori acustici e da qualche anno anche di cuffie apprezzatissime dagli audiofili. Il suo spazio, con un impianto “mostruoso”, è stato oggetto di intasamenti e di lunghe code (che ci hanno impedito di ascoltare il catalano John Talabot e il set dell’alter ego di Caribou, Daphni).
Ma di proposte di musica elettronica, declinata in forma pop, techno e house, che ne sono state davvero tante e su tutte ci piace ricordare il divertente show dei The Juan Maclean, ben suonato, ben cantato, sempre a battuta alta e citazionista “il giusto” dei New Order.
Le chitarre
La reunion dei Ride, padri putativi dello shoe-gaze, prende corpo (e rumore) mano a mano che il concerto procede. Una band robusta, ottima sul palco come su disco e ansiosa di riprendersi la paternità di certi feedback di chitarra cari a tanti gruppi post-rock (Mogwai in testa). Molto bello il loro concerto, deludente il suono che esce dall’impianto del palco Primavera.
Le immarcescibili sei corde sono le protagoniste dei Viet Cong, band canadese rivelazione dello scorso inverno. Tiratissimi, il loro indie-post-punk regge benissimo anche dal vivo. Davvero bravi.
Discorso a parte meritano i The Bohicas, combo inglese multirazziale accasatosi da poco in casa Domino. All’attivo hanno solo un Ep, l’album è previsto a breve, ma non perdono occasione per farcelo ascoltare. Il suono è quello dell’etichetta scozzese, fatto di chitarre abrasive e ritmi sostenuti, ma i “nostri” sono stra-pronti a scalare le classifiche mondiali. E se lo meritano. Personalmente li considero la rivelazione del festival.
Turston Moore, con sua band, ha dimostrato di essere perfettamente a suo agio anche fuori dai compianti Sonic Youth. Bel concerto, denso di contenuti. Se vogliamo trovargli un difetto, un po’ appiattito da suoni (soprattutto quelli della chitarra) troppo omogenei.
Chitarre miste a synth anche nelle mani dei catalani Exxasens, autori di un robusto post-rock sì convenzionale, ma ben suonato e affatto scontato.
Chitarre-basso-batteri-voce: l’emo-core-post-rock della rediviva band di culto American Football commuove, ma paga pegno di una location troppo dispersiva (il seppur piccolo palco Pitchfork) e del sole ancora alto. Se avete amato gli Slint, recuperate i loro dischi.
La psichedelia
Ogni Primavera Sound che si rispetti deve avere la sua robusta dose di psichedelia, convenzionale o nuova che sia.
La liturgia degli Spiritualized lascia soddisfatti come una messa pagana, un rito che rapisce e porta in estasi, che riconcilia col proprio io-profondo.
Salto gli Hookworms con dispiacere a causa distanza ravvicinata col volo di ritorno, ma il giorno prima la moderna forma di psichedelia dei Soft Moon me la godo tutta: stra-convince anche in questa nuova incarnazione della band. In un profluvio di luci bianche e scariche di stroboscopiche, esaltano i tira-tardi del festival (hanno suonato dalle 4 alle 5 del mattino), ma sono costretti ad accorciare di due brani la scaletta a causa del malore di una ragazza in platea, prontamente soccorsa dall’efficiente servizio del festival.
Le provocazioni
Se di provocazioni vogliamo parlare, c’è forse quella di Tori Amos, per la prima volta in assoluto dal vivo in Spagna. Si presenta al palco RayBan davanti ad almeno 8.000 persone con un pianoforte a coda, un organo hammond e un synth. E con degli occhiali che devono essere pesantissimi. Fa tutto da sola, ma incanta comunque con i suoi classici e con la rilettura di In Your Room dei Depeche Mode. La sua voce fa cessare anche il brusio tipico dei festival spagnoli e incanta tutti in pochi attimi.
Einsturzende Neubauten, ovvero come provocare con vecchie provocazioni. Trapani, pezzi di ferro, tubi di gomma, tamburi di latta, seghe, lame: l’armamentario degli industrial-terroristi c’è tutto, ma al servizio di brani tutto sommato meditativi, mentre il pubblico brama di farsi trapanare le orecchie dai brani più dadaisti del gruppo. Qualcuno del loro entourage a fine concerto avrà passato un brutto quarto d’ora: Blixa va su tutte le furie quando prende in mano un marchingegno elettronico e scopre che non funziona. Da quanto abbiamo capito, il loro concerto era previsto con qualche brano in più (quelli più caotici?), ma i tempi di un festival vanno rispettati rigorosamente e…
Che altro?
Si potrebbe parlare a lungo di alcuni innocui (a volte imbarazzanti) gruppi spagnoli e catalani messi in programma (Rocio Màrquez esclusa, che è un’Artista con la maiuscola), del mistero che circonda il culto dei Ratatat (inspiegabile la folla e l’entusiasmo al loro cospetto), dei bar andati in tilt nell’arena principale l’ultima sera e dell’organizzazione davvero ottima.
Ma ci piace l’idea di lanciare un paio di sassolini, proposte o spunti di riflessione.
Il primo riguarda i gruppi italiani. Fuori dal ghetto (dorato?) del Primavera Pro, ma davvero pensate che band come i Subsonica non siano in grado di far ballare tutti al RayBan alle 4 del mattino? O i Marlene Kuntz di infiammare la platea di un Adidas Stage con le loro chitarre sferraglianti? Perché al Primavera Sound non suonano band di casa nostra sui palchi principali? La questione è aperta.
Per gli organizzatori invece due inviti: risolvere la questione dei due palchi sotto l’enorme tettoia fotovoltaica: si disturbano a vicenda e/o sono disturbati dagli altri. Ma soprattutto pensare a qualche soluzione per usare meno plastica: quasi un milione di bicchieri consumati nei 4 giorni dell’inquinante materiale sono davvero troppi.
Next
Il Primavera Sound 2016 guarda al Coachella come esempio (prendendone la cattiva abitudine di far pagare gli accrediti stampa), ma a sua volta viene “spiato” da tanti nuovi festival americani, che ne stando tentando l’assedio. Principalmente per questa ragione, il Primavera Sound 2016 si svolgerà dall’1 al 4 giugno 2016. Sempre a Barcellona. Sempre al Parc del Forum. E noi ci saremo. Potete scommetterci.
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