Spandau Ballet
Torino, 26 marzo 2015, Pala Alpitour
live report
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Non ho cambiato idea, assolutamente. Sono rimasto coerente con il me stesso di trent’anni fa, un ragazzino scapigliato che travolto dalla moda del momento idolatrava i Duran Duran sui giornaletti come Cioè e Ciao 2001. I derby con gli amici Spandauisti si consumavano a colpi di vinile e sul panno verde del Subbuteo, con Tony Hadley e Simon Le Bon improbabili capi ultrà.
Ecco perché stasera mi sento quasi un ospite al Pala Alpitour. dove al breve si consumerà il concerto degli Spandau Ballet. Il mio smart-watch segna le 21.15 spaccate quando 5 signori ben vestiti prendono il palco. Sono Steve Norman (un vero e proprio poser che si diverte come un bambino a giocare con il sax, le percussioni, la chitarra, il flauto, il tamburello), i fratelli Martin e Gary Kemp (sono davvero figli degli stessi genitori? Il primo sembra un teenager, il secondo decisamente no), John Keeble (che mi è simpatico di default perché è il più discreto, ha un viso impietosamente scolpito dalle rughe e una t-shirt con Kate Moss) e, appunto, Tony Hadley.
Aprono con Soul Boy e mettono subito in chiaro che qui non si scherza. E, in effetti, l’operazione nostalgia più che sul palco si consuma in platea dove le mie ex compagne di scuola, con la ricrescita bianca e reduci da una stancante giornata di lavoro, hanno appena riscoperto il loro sopito brio brufoloso.
La band è efficace e glamour senza eccessi sin dai primi accordi. Si presentano tiratissimi, scaldano gli strumenti per un paio di pezzi e poi infilano un trittico da paura che scatena il delirio: Only When You Leave, How Many Lies e Round And Round.
I mariti sono già sulla difensiva e tengono sotto braccio le loro signore, meglio traumatizzare subito il revival ed evitare eventuali reggiseni volanti.
La voce di Tony è solida come sempre, lui è appesantito ma sempre elegantissimo. La differenza principale col precedente Reformation Tour del 2009 sta nella presenza più centellinata di hit, che segnano il passo a brani meno noti al grande pubblico come Confused e The Freeze, che suonano freschi e non annoiano oltremodo i pochi ventenni presenti. Certamente la set-list è studiata nei minimi dettagli e, questa mescolanza che cadenza magistralmente il pathos, compiace gli imperterriti fan accoliti che, a torto o a ragione, si sentono ancora meritevoli di maggiori coccole rispetto agli spettatori occasionali. Oltre tutto, dopo le liti giudiziarie tra i vari membri, questo tratteggio meno autoreferenziale conferisce un profilo più artistico allo show che fila via su un equilibrio meditato ma efficace.
Gli Spandau Ballet sono una band matura. Non saranno i Beatles, d’accordo, ma hanno saputo snocciolare un pop a tratti di discreta qualità, come in Empty Spaces –s uonata in una breve gig acustica da Tony e Gary che scompaiono per riapparire a sorpresa su una pedana in fondo all’arena- e nella intramontabile I’ll Fly For You, che ancora oggi fanno la loro più che degna figura al cospetto di molta musica nuova che poi, diciamocela tutta, tanto nuova non è.
Il finale è al cardiopalma. Parte il coretto famosissimo e il Pala Alpitour si avvicina di qualche metro allo Stadio Olimpico: True. E poi è il momento del loro capolavoro, Through The Barricades, una delle canzoni più belle di sempre per chi vi scrive. Lasciamola parlare: “Oh, voltati e io ci sarò, c’è una cicatrice proprio sul mio cuore ma lo mostrerò ancora. Pensavo fossimo la razza umana ma eravamo solo un altro caso limite. E le stelle tendono la mano e ci dicono che c’è sempre una via d’uscita (…) Ed ora so che mentre i tamburi iniziano a svanire, stanno dicendo che stiamo costruendo il nostro amore in una terra desolata e attraverso le barricate”.
Adesso il palazzetto sembra camminare davvero e sta quasi per calpestare il giardino dei Granata di Torino.
Il ritmo, senza indulgere nella commozione dei più, risale immediatamente per Fight For Ourselves. È il preludio all’ultima chicca, Gold, che chiude due ore di spettacolo di buon livello.
Chi è scettico su queste reunion certamente lo è rimasto, chi ha amato follemente gli Spandau Ballet negli Ottanta è tornato paninaro per una sera, chi sovrastava il loro volume con Wild Boys e Planet Earth ha rimediato agli sgarri e chi li snobbava ha avuto occasione di rivalutare. E se è vero che lo scopo della musica popolare non è quello di cambiare il mondo ma di divertire quante più persone possibili… beh, missione compiuta.
Scaletta – setlist concerto Spandau Ballet, Torino, 26 marzo 2015
- Soul Boy
- Highly Strung
- Only When You Leave
- How Many Lies
- Round and Round
- This Is the Love
- Steal
- Chant No 1 (I Don’t Need This Pressure On)
- Blitz Medley: Age Of Blows Intro / Reformation / Mandolin / Confused / The Freeze
- To Cut a Long Story Short
- Raw
- Glow (Instrumental)
- Empty Spaces (Acoustic)
- Once More
- I’ll Fly for You
- Instinction
- Communication
- Lifeline
- True
- Through the Barricades
- Fight for Ourselves
- Gold
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