John Hiatt
Terms of my surrender
(New West Records)
country, blues
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Nonostante 61 anni e ben ventidue dischi sul suo bardo, John Hiatt non intende fermare la sua penna e tantomeno il “girovagare” nelle terre country bluesy della sua mitica arte, e Terms of my surrender è qui a testimoniare la magia indistruttibile di un artista, musicista, eroe e poeta che alla pensione preferisce dare alte lezioni musicali all’infinito.
E dopo averci girato un’infinità di volte tra i bordi del blues, ora l’artista di Indianapolis ci si ficca di lena, e ne viene fuori un disco laido di bellezza, carico di nicotina, catarro, amore e passione che certamente farà corrucciare la fronte a certi puristi del genere, ma ad Hiatt si concede tutto e lui contraccambia con il mazzo di note della la sua chitarra acustica che zitta tutto e tutti.
Hiatt racconta le sue storie, ci si rotola dentro e le restituisce immacolate all’ascoltatore, storie lontane dal pathos southern ma vicine appunto al blues rielaborato, il quid necessario per viaggiare con la mente in nuovi pads stilistici; disco di ballate, pensieri e cuori strapazzati, e tra i pezzi estrapolati da un ascolto raffinato e avventuroso ecco lo swing folkly che smuove Marlene, il boogie ubriacato di Nothin’ I love, lo spirito nigger che colora la stupenda Wind don’t have to hurry, il fields caracollante di Old people e la dylaniana Here to stay, ballata da brivido e occhi liquidi, un piccolo campionario indicativo del prezioso che vive in questo disco, in questo pezzo ulteriore di storia Americana “al contrario”.
Da inchino!
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