Zen Circus
Canzoni Contro la Natura
(La Tempesta)
indie rock
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Canzoni Contro la Natura è il dieci tracce dei Zen Circus piuttosto atteso dopo gli apprezzamenti degli album precedenti e la pausa dello scorso anno che li visti portare avanti due progetti solisti: il batterista Karim Qqru sotto lo pseudonimo di La Notte dei Lunghi Coltelli, con un album sperimentale di tracce tra musica d’avanguardia e hardcore aggressivo, e il rock cantautorale del singer Andrea Appino con Il Testamento.
Proprio per merito del disco del chitarrista e autore dei testi della band, a mio parere una delle migliori uscite italiane 2013 insieme ai Ministri e gli Eva Mon Amour, attendevo un album ancora più ricercato viste le ottime doti del giovane cantautore pisano, come espresso nella recensione di quella sua prima opera d’autore che ha avuto il riconoscimento di un Premio Tenco.
L’arpeggio introduttivo di Viva ci introduce ad un disco sul deterioramento umano, sui valori perduti e le ansie di una generazione senza alcuna sicurezza su cui contare. La canzone si fa in crescendo fino ad una sfilza di “evviva qualunque cosa” di questa Italietta da quattro soldi, in cui non c’è bisogno che il telegiornale ci informi della crisi quando si vive con “quattrocento euro al mese per un letto a soppalco”. Dio viene dipinto come un Albero di Tiglio che deride l’uomo che l’ha sempre immaginato buono e a sua immagine e somiglianza.
Nella ballata di Via Postumia, che a dirla tutta ricorda 1983 del disco di Appino in versione speed, ci si ritrova dopo il turno serale a bere una coca-cola invece di un wisky, con gli occhi spenti considerando che in fondo chi se ne frega se “alzate l’IMU, tanto io non avrò mai una casa nemmeno tra trent’anni”. La title track con il suo ritmo elettrico inquadra un futuro dove non esistono più supermercati, la tecnologia è inutilizzabile e gli animali si riorganizzano per riprendersi il pianeta diventato una scuola di sopravvivenza.
Se da una parte assistiamo ancora a furori elettrici come in No Way, lo spirito folk di questi buskers pisani si trascina in canzoni in cui addirittura si avvertono influenze alla De Andrè in Mi son ritrovato Vivo e Dalì, dove si racconta di un senzatetto rovinato dal bingo e dal biliardo. L’Anarchico e il Generale indubbiamente fa il verso al Pescatore, un omaggio considerando che canzoni simili non se ne fanno più, e in Vai Vai Vai! questa stessa verve cantautorale si mescola a ritmate sonorità folk-country.
I Zen Circus cantano l’Italia reale, quella per la maggior parte ingannata dalle false promesse e che ha perso la speranza, un quadro amaro rispetto alle canzonette frivole della maggior parte degli artisti primi in classifica, contornate in fondo alla title track dalla voce del poeta Ungaretti che spiega le dinamiche della natura umana. Loro preferiscono mettere in luce stati d’animo concreti e tangibili da tutti e si autoproducono definitivamente per intero il nuovo disco, in cui non mancano cantonate ironiche indirizzate verso i pentastellati dell’ultim’ora o a “quello che da Mario non ci lavorava”.
Non ci sono le sperimentazioni hardcore-teatrali colte nel lavoro di Qqru o il songwriting visto nel Testamento, segno che si è scelto di rimanere fedeli allo stile che li ha consacrati con gli ultimi dischi, un folk-rock barricaderos con punte di scuola cantautorale che riconferma gli Zen Circus come una delle band alternative più attendibili del panorama musicale nostrano, ma che possono senz’altro fare un passo in più.
Sito web: thezencircus.com
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