Chances è uno dei dischi da portarsi dietro nel 2009, per la sua abbacinante intensità e per la sua imperfetta bellezza. È un disco importante anche per gli stessi Super Elastic Bubble Plastic, che per realizzarlo hanno fatto scelte importanti e rischiose, come ci dice il bassista Gianni Morandini
Rock Shock: Questo disco è una sfida fin dal titolo: Chances, opportunità, occasioni. Il vostro nuovo lavoro era l’occasione per dimostrare che cosa?
Le opportunità di cui parla il titolo sono quelle che la vita ti offre, che possono essere sia colte, sia perse, e i pezzi del disco variano in questa casistica. “Chances” è anche in sé un’opportunità per noi tre. Non era poi così scontato che dovesse uscire un altro disco dei SEBP. E’ un’opportunità che abbiamo voluto crearci; si tratta di un’autoproduzione, è stato Gionata a sedersi davanti al mixer, c’abbiamo messo i nostri soldi; l’abbiamo voluto fare e volevamo che risultasse così. Ci siamo detti: non abbiamo un’etichetta che ci spinge? Allora l’etichetta siamo noi. Era in fondo giunto il momento di provare una strada nuova, per sentirci vitali e per dimostrare a noi stessi cosa possiamo fare. E “Chances” non è un terzo disco che segue stancamente e banalmente al secondo. E’ il nostro miglior lavoro. Non è che vogliamo mancare della sempre necessaria modestia. Sappiamo di non essere perfetti come musicisti. Ma non puoi fare un disco, o salire su un palco, dicendo “è permesso?”. E’ chiaro che occorre metterci il Lato A. Il che significa cogliere l’occasione.
Rock Shock: Come siete cresciuti in questi anni? In che cosa sono diversi i Super Elastic Bubble Plastic di “The Swindler” rispetto a quelli di “Chances”?
E’ un disco fatto da gente che ha già trent’anni, con lo sguardo disincantato di chi ha perso l’innocenza ma ancora l’energia di chi ha tutto da dimostrare. Rispetto a sei anni fa, quando registrammo il nostro debutto “The Swindler”, siamo diventati strumentisti un po’ più bravi, con anche quel po’ di professionalità ed esperienza guadagnati facendo decine e decine di concerti. Abbiamo inoltre cambiato un poco la nostra musica, diventando meno rock’n’roll che agli esordi, concentrandoci più sulle variazioni di dinamiche all’interno delle canzoni; e anche meno diretti nei testi. Credo che questa evoluzione sia iniziata nel secondo disco “Small Rooms”, nel cui solco si inserisce musicalmente questo terzo lavoro; ma rispetto a “Small Rooms”, che era per certi versi timido e insicuro, ora abbiamo realizzato pezzi più decisi e scritti meglio. Però sentiamo anche che “Chances” ha un’analogia caratteriale con “The Swindler”: come allora, vi è l’urgenza di esprimersi e comunicare, la voglia di fare. Per questo “Chances” è per noi come un secondo inizio.
Rock Shock: Il video di Fake Queen è basato sulla casualità, sull’improvvisazione. La casualità è il principio che sta alla base della vostra nascita: il gruppo si è formato dopo una jam session in un negozio di abbigliamento di Mantova. Nella vostra musica quanto affidate al caso e quanto alla premeditazione?
Alla base del clip di Fake Queen c’è la filosofia del Do It Yourself; come il disco, anche il video è una autoproduzione, sia come mezzi che come concept. Alessio, che è un operatore video di mestiere, si è occupato della realizzazione tecnica e del montaggio. Gionata ha avuto l’idea. L’idea stessa è DIY: venite voi, filmate voi con le vostre videocamere e cellulari, decidete voi le inquadrature. Che per fare un buon video bastasse una buona idea e pochi mezzi, lo avevamo già visto con “My Emotional Friend” e “Need A Gun”; ma stavolta è stato bello sentirci autori del nostro videoclip. Dobbiamo comunque ringraziare tutti coloro che hanno partecipato e ci hanno aiutato, in primo luogo il nostro amico Simone Gallo.
Era nella natura di una tale idea di video, per tornare alla domanda, che entrasse un elemento di casualità. Ma non c’è un vero collegamento a quello che facevamo nei nostri primissimi concerti, quando salivamo sul palco senza avere uno straccio di pezzo pronto, e ci allenavamo in sala prove improvvisando. Allora era diverso. Era una casualità premeditata, cercata e ostentata. Era un po’ un gioco e un po’ una sfida, ma la nostra sfida per concretizzarsi ha dovuto smettere di essere un gioco. Ora abbiamo dei pezzi strutturati, in sala prove proviamo la scaletta dei concerti; e se sul palco capita qualche breve improvvisazione, è sempre un momento estemporaneo, non previsto e non premeditato.
Rock Shock: Perché avete autoprodotto il disco?
Mentre scrivevamo i pezzi, ci siamo chiesti più volte come e con chi lo avremmo registrato. Dopo due dischi con Giulio Favero, il dubbio era da una parte di divenire in un certo senso dei suoi protetti, dall’altro di non trovare un altro produttore altrettanto bravo e con cui sentirci in sintonia. Così abbiamo voluto imboccare una terza strada. Gionata aveva già sperimentato con qualche nostra registrazione artigianale e casalinga, io e Alessio trovavamo fosse bravo al mixer e lui quindi si è proposto. E’ stata una svolta. Venivamo da un periodo di crisi, la scrittura dei pezzi procedeva lentamente e ci sentivamo insicuri. Questa decisione ci ha dato la botta giusta, ci ha restituito la determinazione e la voglia di dare il massimo. Ci vuole una certa dose di coraggio e sfacciataggine. L’abbiamo vissuta anche come una dimostrazione di forza verso il music business, di cui facciamo parte certo, ma dal quale non vogliamo farci comandare.
Rock Shock: Come avete vissuto la registrazione di “Chances”?
Molto bene. Nonostante le difficoltà di denaro e di tempo. Occuparsi personalmente della registrazione, invece che affidarsi ad un’altra persona, non significa solo avere il controllo su ogni dettaglio. E’ soprattutto un grande impegno mentale. Significa passare la notte pensando a microfoni, frequenze e settaggi e arrivare in studio il giorno dopo non tanto con l’idea di dover suonare sul tuo disco, quanto di doverlo fare, nella sua interezza, nella sua concezione, nella sua costruzione. E’ un po’ la differenza tra l’essere padri, mettendoci lo sperma, e l’essere madri, mettendoci la tua carne e la tua vita. Questo vale soprattutto per Gionata. Per me e Alessio è stato anche il disco registrato con più serenità, dato che rimanendo solo in tre abbiamo metabolizzato al meglio tensioni e insicurezze. E alla fine, è una bella gratificazione poter dire che è stata una produzione della band.
Rock Shock: Avete degli artisti di riferimento che hanno ispirato “Chances”?
Giusto qualche giorno fa ci chiedevamo quali grandi musicisti del passato (il presente è facile) si autoproducevano, e abbiamo pensato ai Led Zeppelin. Forse stiamo incosapevolmente cercando di seguire le orme di Jimmy Page! La musica può ispirarti in diversi modi. Può ispirarti il modo di viverla che altri hanno avuto. Il più delle volte sono i dettagli, gli spigoli e le curiosità della musica che ami che poi ritornano in quella che fai. Non è nelle nostre corde imitare coscientemente qualcuno, o cercare di seguire un genere. Magari questo o quel pezzo suona come questa o quella cosa, e a posteriori te ne accorgi, ma è inevitabile assomigliare sempre a qualcos’altro. Quando provavamo “Lover’s Heart”, dopo averla scritta, ci siamo detti ridendo: sembra Neil Young! Ma non passiamo le giornate ascoltando Neil Young, per dire, e pensando a come scrivere pezzi come i suoi. Cerchiamo di essere sinceri e di fare i nostri pezzi con personalità.
Rock Shock: Uno di voi ha avuto una parentesi piuttosto lunga col Teatro degli Orrori. Com’è andata? La cosa ha creato gelosie all’interno della band?
Non si è trattato di una parentesi, Gionata è membro a tutti gli effetti sono sicuro che ITDO torneranno presto con un altro grande disco. Penso che in futuro le nostre due band saranno destinate ad alternarsi sotto le luci dei riflettori; quantomeno, l’intenzione è di fare un disco a testa, poi cosa riserva il futuro nessuno può saperlo. Certo è vero che il riscontro che il Teatro ha avuto ha tolto tempo e spazio ai Super Elastic, e sta a noi ora farci valere. Comunque non voglio vivere con l’ansia del confronto, anzi me ne frego. So il fatto mio. La gelosia è una forma di egoismo, l’egoismo è una forma di insicurezza. Loro sono un grande gruppo, il mio preferito, che merita ogni bene, molto più di quanto abbia finora ottenuto. Va bene così.
La foto di apertura è di Giulia Rizzini (fonte: Myspace)
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